MPAA: Google è il Golia dell'antipirateria

MPAA: Google è il Golia dell'antipirateria

Dalla breccia di Sony Pictures emergono le tattiche dell'antipirateria globale: dal blocco dei siti alla pressione legale, politica e mediatica, l'obiettivo di Hollywood passa per l'abbattimento del ruolo di Google
Dalla breccia di Sony Pictures emergono le tattiche dell'antipirateria globale: dal blocco dei siti alla pressione legale, politica e mediatica, l'obiettivo di Hollywood passa per l'abbattimento del ruolo di Google

La statura di un gigante presso le istituzioni, l’enorme potere di un intermediario che agisce da principale snodo per i cittadini che intendono abusare del diritto d’autore online: è questa l’immagine con cui la Motion Picture Association of America (MPAA) ritrae Google, il Golia da abbattere per liberare la Rete dalla pirateria.

I dettagli del cosiddetto Project Goliath, selezionati da The Verge ed emersi dal vaso di Pandora della profonda breccia inferta a Sony Pictures, mostrano con chiarezza i sentimenti nutriti dagli studios di Hollywood nei confronti della Grande G, e le tattiche adottate per spodestarla dal suo ruolo. Lo stratega del progetto Golia appare essere Steve Fabrizio, nominato nel 2013 global general counsel di MPAA: una serie di email scambiate a partire dal mese di gennaio 2014 testimoniano la formazione di una agguerrita coalizione antipirateria che raduna insieme a MPAA Universal, Sony, Fox, Paramount, Warner Bros. e Disney, unite per agire nel contesto in cui proposte di legge controverse come SOPA, che avrebbero dovuto coinvolgere tutti gli ingranaggi dell’infrastruttura della Rete nella lotta alla violazione del copyright, non hanno saputo attecchire .

Il gruppo riunito in MPAA ha discusso di soluzioni alternative al blocco dei siti ma “altrettanto effettive”, che gli intermediari della Rete come i provider potrebbero essere disposti ad “adottare su base volontaria” con lo scopo di arginare la condivisione illegale. Stando ai documenti pubblicati dai cracker di Sony Pictures e analizzati da TorrentFreak , l’attuale obiettivo numero uno degli studios è costituito dai cyberlocker e dai siti di streaming , sorvegliati speciali anche negli studi di settore: le strategie per combatterli saranno quelle di rendere vana la loro attività coinvolgendo intermediari dell’ advertising e dei pagamenti per fare terra bruciata intorno al loro business, ma anche far fioccare denunce programmate nel Regno Unito, in Canada e in Germania con l’intento di “creare dei precedenti legali per dare forma ed estendere la legge che regola i cyberlocker e i loro fornitori di hosting”, per formalizzare delle procedure di blocco dei siti e di sequestro di domini e per affinare le leggi che in paesi come gli States, ancora non li permettono esplicitamente . Nel mirino dell’industria del cinema ci sono anche i siti dedicati ai torrent: in questo caso Hollywood medita di continuare ad esercitare pressione sui fornitori di hosting, trascinandoli anche di fronte ai tribunali, e sugli intermediari come i motori di ricerca , monitorando periodicamente il loro ruolo di facilitatori per la pirateria e supportando le denunce dei soggetti che vorranno chiamarli in causa.

Il tutto, raccomanda MPAA nelle parole di Fabrizio, dovrà essere portato avanti “considerando la misura in cui una strategia presenti dei rischi in termini di comunicazione e pubbliche relazioni”, presso i comuni cittadini della Rete, sempre più sensibili a certe misure poco liberali, e presso le autorità, che si dimostrerebbero ricettive anche rispetto alle istanze portate avanti da gruppi di pressione allineati alle forze degli intermediari della Rete e in particolare a Golia, vale a dire Google. La Grande G, ancora troppo restia nell’ accontentare l’industria dei contenuti, andrebbe sabotata di fronte alla sfera politica : per questo MPAA avrebbe avuto intenzione di stanziare un budget di 70mila dollari per il progetto Keystone , volto a raccogliere prove per screditare Google agli occhi dei procuratori generali e innescare azioni legali che sappiano minare Google alle basi del suo atteggiamento poco collaborativo.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
16 dic 2014
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