Il datore di lavoro può obbligare i dipendenti ad installare un’app per monitorare i loro spostamenti? A doverselo chiedere è la Corte Superiore della California che deve decidere di un licenziamento e della sua causa.
La questione è di quelle fortemente dibattute, vedendo intrecciati diritto dei lavoratori e diritto alla privacy: in Italia, per esempio, già da qualche anno la Cassazione è stata chiamata ad intervenire sull’argomento, cercando di delineare il confine tra controllo legittimo della produttività, organizzazione del lavoro ed invasione indebita della sfera privata dei dipendenti; al contempo Francia e Germania hanno già fatto un passo avanti incominciando a combattere le email di lavoro fuori dall’orario d’ufficio, un’altra subdola forma di controllo del dipendente.
Nonostante i diversi ricorsi e sentenze avverse, peraltro, le aziende si stanno dotando sempre di più di strumenti di tecnocontrollo che oltretutto, con lo sviluppo della tecnologia e la diffusione dei dispositivi mobile, diventano sempre più invasivi.
A riportare agli onori della cronaca il dibattito negli Stati Uniti è stata la denuncia depositata da Myrna Arias, ex dipendente dell’azienda Intermex, che accusa l’ex datore di lavoro di averla licenziata per la rimozione dal proprio dispositivo di un’app che ne monitorava esattamente gli spostamenti .
Secondo quanto si legge nell’accusa, Myrna Arias si occupava delle vendite per l’azienda californiana ed era stata costretta nell’aprile del 2014 a scaricare l’ app Xora , che serve alla gestione dei flussi di lavoro coordinando il personale rimasto in ufficio con quello fuori sede, di cui monitora gli spostamenti.
Per farlo, Xora traccia la posizione esatta dei possessori dei dispositivi su cui è installata. Il problema sorge, in particolare , nel momento in cui si stacca da lavoro: l’app rimane attiva continuando a seguire gli spostamenti dei dipendenti, la velocità a cui viaggiano, le soste che effettuano. Una vera e propria minaccia per la loro privacy e la loro sicurezza, se tali informazioni finissero in mano di malintenzionati.
Claudio Tamburrino