CCC III

CCC III

di M. Calamari - Cronaca di un'edizione sottotono, incapace di valorizzare appieno le competenze e le risorse dei partecipanti. Ma animata da persone che continuano a rendere il Chaos Communication Camp un incontro che arricchisce
di M. Calamari - Cronaca di un'edizione sottotono, incapace di valorizzare appieno le competenze e le risorse dei partecipanti. Ma animata da persone che continuano a rendere il Chaos Communication Camp un incontro che arricchisce

Anche quest’anno, per la terza volta, Cassandra ha avuto la fortuna di poter partecipare al Chaos Communication Camp, per l’ edizione 2015 a Mildenberg, nei dintorni di Berlino. È stata come sempre un’esperienza utile ed interessante, ma questa cronaca sarà diversa da quella degli altri due Camp del 2007 e del 2011 a cui ha potuto partecipare. Meno “poetica” e divertente, forse più critica e descrittiva, probabilmente più utile.

Cassandra, per sua ignoranza ed ignavia, non partecipò infatti ai Chaos Communication Camp del 1999 e del 2003 , ma ebbe il suo “battesimo del fuoco” ed il conseguente innamoramento solo nel 2007 nella splendida location di Finowfurt, dove poi ritornò anche nel 2011 . Ed eccoci, nel 2015, di nuovo al Camp . Non nello splendido scenario dell’ aereoporto militare e del museo dell’aeronautica di Finowfurt, ma in un altro museo, anzi un parco dei divertimenti (Ziegeleipark): molto parco e poco divertimento a cose normali, ma immensamente più divertente in queste 5 giornate, dopo l’atterraggio dell’astronave che è da sempre il simbolo del Camp.


Ziegeleipark contiene un museo di archeologia industriale; in effetti questa enorme distesa di terreno in riva al lago (in questa zona di laghi e laghetti ce ne sono a bizzeffe) era una volta una fabbrica di mattoni e laterizi, che faceva larghissimo uso di binari e vagoncini a scartamento ridotto (tipo “Indiana Jones ed il Tempio Maledetto”, per intenderci) per spostare materie prime, semilavorati e prodotti finiti. Un dedalo di binari che percorrono tutto il parco, passando attraverso alcuni edifici superstiti, ovviamente tutti rigorosamente di mattoni, dove oltre a produrre laterizi si costruiva e riparava il materiale rotabile stesso, cosa prontamente imitata da dei bambini.


Un allegro trenino con bar e vagone di palline per i bimbi fa continuamente il giro di tutta la location, ed una spiaggetta in riva al lago permette dei sani tuffi. Non ci sono nemmeno (troppe) zanzare.

Cosa ha aggiunto il Camp a Ziegeleipark?
Beh, oltre a 5500 hacker, figli di hacker, mogli o mariti di hacker e simpatizzanti vari, ha aggiunto due enormi tendoni da circo da mille posti, tre tendoni più piccoli ed una quantità di villaggi “autogestiti”, formati dalle tende dei partecipanti raccolte in gruppo intorno ad una o piu grandi tendoni, tensostrutture e cupole geodetiche (quest’anno di gran moda).
I villaggi più noti, presenti ormai da molte edizioni, erano come d’uso punti di riferimento su particolari tematiche. Oltre ad essere punti di aggregazione e di incontro, organizzavano come sempre piccole conferenze e workshop “in proprio”.

Così “Noisy Square”, “Milliways”, “La Quadrature du Camp” e “l’Ambasciata Francese” sono stati dei piccoli camp nel Camp, gioielli di cultura e di informazione. Gioielli così interessanti che molte persone hanno snobbato gli eventi principali, cioè i due percorsi paralleli di conferenze dalle 10 alle 24 di ogni giorno, e sono rimasti quasi sempre in uno o più dei villaggi.

C’è poi chi al contrario si è chiuso in una tenda ed ha passato la maggior parte del tempo pippolando sul portatile notte e giorno. Perché? Per tentare di vincere il “Capture the Flag”. Si tratta di una sfida informatica tipo caccia al tesoro, in cui si devono individuare punti deboli in vari sistemi e server (simulati, ovviamente) per portare poi attacchi informatici (sempre simulati) e recuperare i “flag”, stringhe numeriche ciascuna delle quali valeva un certo numero di punti. Una serie di squadre si sono sfidate ed alla fine, quasi a punteggio pieno, ha stravinto il favoritissimo team di Milliways.

“Ma, e l’Ambasciata Italiana dove è finita, quest’anno non c’era?” diranno i 24 increduli lettori.
Tranquilli, l’Ambasciata c’era come sempre, bene in salute grazie al lavoro degli organizzatori, ed assai folta sia di soliti noti che di facce nuove, ed ha come al solito sbaragliato la concorrenza nella sua specialità, quella di organizzare party notturni assai alcolici che durano fino all’alba.
È stata invece sbaragliata nel “Capture the Flag”, finendo se non ricordo male in 29ma posizione. Che questi due fatti siano in qualche modo collegati?

Nulla purtroppo ha fatto in quanto a workshop ed eventi più seri, tanto che i molti guru e pezzi da novanta presenti sono dovuti emigrare in altri villaggi per far sentire la propria voce e tenere dei workshop. Uno di questi, dedicato ai captatori informatici, avrebbe fatto scalpore e sarebbe probabilmente finito su tutti i media internazionali se fosse stato inserito tra i talk ufficiali. Peccato, anzi peccatissimo.

Infine come tacere del badge elettronico di quest’anno?


Il famoso Rad1o è una combinazione tra parti del badge dello scorso Camp, il R0cket ed HackRF , una nota SDR (spiegazione nel seguito) in commercio da parecchio tempo che ha permesso di ottenere un’interessante oggetto.
Il Rad1o, se considerato un badge, vanta un peso e dimensioni mai raggiunti prima con i badge elettronici di altre manifestazioni. Se invece se ne esaminano le possibilità, possiamo accorgerci che si tratta di una Software Defined Radio, cioè di una radio programmabile via software, in grado di trasmettere e ricevere su frequenze fino a 4 GHz ed utilizzabile tramite il framework libero GNUradio.

Per i neofiti su questo tema, come ero io prima di questo Camp, sottolineo che una software defined radio non ha niente a che fare con un ricevitore radio classico, e neppure con uno digitale. Si tratta di un oggetto in grado di trasmettere e ricevere onde radio sotto il completo controllo di un software, che può fargli fare praticamente quello che vuole, grazie alla CPU che controlla tutta la circuiteria analogica. Ad esempio, a Rad1o funzionante, semplicemente installando GNUradio ed alcune applicazioni pronte, in pochi minuti sono riuscito ad avere la decodifica testuale di trasponder radio del traffico aereo. Ho detto, non a caso, “a Rad1o funzionante”, perché la costruzione, il collaudo e la distribuzione di 5500 di questi oggetti sono stati uno sforzo titanico, e per questo ha avuto non solo luci ma anche ombre.

La quantità di badge arrivati era insufficiente per tutti (e pensare che il badge rappresentava certamente una quota non trascurabile del prezzo del biglietto).
La sua progettazione (ve lo dice chi ha lavorato in Olivetti) mostrava chiaramente che molti componenti non indispensabili ma di “protezione”, inseriti come espressione di una buona progettazione elettronica, erano stati poi rimossi per abbassare i costi. Sarà un caso ma, come molti altri, il Rad1o di Cassandra è morto improvvisamente, nel caso particolare durante un aggiornamento del firmware.
Qui devo pubblicamente ringraziare due dei componenti dell’ambasciata italiana, che hanno passato diverse ore a risolvere il problema (un piedino di 0.2 millimetri mal saldato che si era improvvisamente staccato), e dopo aver eseguito la diagnosi insieme a me e ad un massimo esperto tra i progettisti tedeschi, sono riusciti nel miracolo di risaldare il componente senza le necessarie apparecchiature, ma solo con una normale punta di saldatore dieci volte più grande. Grazie Jaky & socio!

E veniamo alle note non positive: i talk ufficiali. Un paragone con gli eventi olandesi dello stesso tipo e dimensione, come il recente OHM2013 (su cui Cassandra ha scritto estesamente quattro articoli: 1 , 2 , 3 e 4 ) non è nemmeno proponibile. OHM aveva sette, dicasi sette sessioni parallele dalle 9:30 alle 24:00, tutti di talk in inglese e praticamente tutti di ottimo livello, con una dozzina che hanno addirittura fatto cascare in terra le mandibole dei presenti come questo , suscitato applausi a scena aperta e fatto sommergere gli oratori dai giornalisti presenti.

Il CCC, invece, nelle sue due sessioni aveva addirittura un 40 per cento di talk in tedesco, quasi tutti senza traduzione simultanea, quindi incomprensibili alla grande maggioranza dei partecipanti. Mah…
Anche il livello qualitativo è stato medio basso: solo due interventi tra quelli a cui ho assistito sono stati entusiasmanti (di quello fatto da Brewster Kahle vi ho già raccontato ), mentre tre erano addirittura penosi, uno fino al punto da abbandonarlo a metà.

Inoltre molti di quelli interessanti e di spessore erano “incompleti”: erano cioè del tipo “Guardate che bella cosa ho fatto, ho ottenuto questo ma come l’ho fatto non c’è tempo di mostrarvelo, oppure non ve lo posso dire”.
Tale è stato, ad esempio, il pur interessantissimo intervento sul Car Hacking . Sinceramente penso che persino Cassandra, inventandosi su due piedi un titolo e parlando a braccio sui due o tre temi che conosce bene, lì in mezzo non avrebbe sfigurato. E diversi abitanti dell’ambasciata italiana avrebbero potuto brillare come stelle di prima grandezza. Un vero peccato.

Forse il Chaos Computer Club (acronimo CCC anche lui, come quello del Chaos Communication Camp) ritiene che l’evento debba ritornare ad una dimensione più nazionale: in ogni caso una certa sensazione di disagio l’hanno percepita in molti.

Un bilancio negativo quindi? No, assolutamente no!

Un’organizzazione spettacolare ha costruito una piccola città in mezzo al niente in tre giorni, e l’ha tenuta insieme grazie alla dedizione ed all’abnegazione di centinaia di “CCC Angel” volontari, che lavoravano gratis ma si pagavano comunque il salato biglietto di 220 euro.

Migliaia di persone, moltissime delle quali perfettamente aderenti alla definizione di hacker, si sono incontrate, hanno parlato, scambiato idee, esperienze, e si sono trovate esposte a conoscenze che nemmeno sospettavano.
Ovviamente si sono anche divertite a fare anche una quantità di cose insensate, come un sistema di posta pneumatica alimentato da aspirapolvere che connetteva 5 stazioni postali in giro per il Camp.
Un’organizzazione assai più piccola ma altrettanto dedita e generosa ha fatto nascere e funzionare l’Ambasciata Italiana, che è stata l’utilissimo punto di riferimento, sia per gli italiani, sia per chi gli italiani voleva incontrare.

Un paradiso, quindi. Ma nel anche nel bene ci sono le quantità, e rispetto ai precedenti Camp nell’edizione di quest’anno, almeno secondo Cassandra, un po’ di crisi e di riflusso si sentivano.

Benissimo, sarà una spinta per fare di meglio in futuro, cominciando dal Camp olandese del 2017. Arrivederci.

Marco Calamari
Lo Slog (Static Blog) di Marco Calamari
L’archivio di Cassandra/ Scuola formazione e pensiero

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Pubblicato il
4 set 2015
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