Al 2015 l’Italia detiene il primato europeo per numero di inibizioni di siti ritenuti in violazione del diritto d’autore: sono 238 i domini che i provider italiani hanno dovuto rendere inaccessibili, sotto l’ordine dell’autorità giudiziaria o su richiesta di AGCOM.
Site blocking around EU in 2015 from @MPAEurope ‘s Okke Visser #iclic15 pic.twitter.com/Wg2yhGRY8s
– Eleonora Rosati (@eLAWnora) 17 Settembre 2015
È Okke Delfos Visser, consulente per gli affari legali della Motion Picture Association (MPA) ad offrire uno sguardo sui numeri delle strategie antipirateria che fanno leva sulla collaborazione dei fornitori di connettività per colpire i siti che siano giudicati veicolo di contenuti condivisi senza l’autorizzazione dei detentori dei diritti: strategie che, in uno sguardo d’insieme, mostrano come l’Europa, dopo la prudente sentenza Telekabel dello scorso anno, abbia abbracciato in maniera poco uniforme questa soluzione.
Data per assodata l’esaustività dei dati della slide ( Punto Informatico ha contattato Visser per ottenere ragguagli in merito ai dati), i numeri italiani parlano da sé. Le incertezze nell’interpretazione del quadro normativo si sono consolidate in una abitudine, con sempre più frequenti operazioni coordinate dalle forze dell’ordine e provvedimenti di sequestro emanati dall’autorità giudiziaria. Dopo anni in cui i provvedimenti di inibizione che hanno investito punti di riferimento come The Pirate Bay, colpendo così di frequente da anestetizzare le apprensioni della società civile, nel 2013 è entrato in gioco il Regolamento AGCOM, con il quale si è affidato all’autorità amministrativa il compito di accogliere ed esaminare le istanze dei detentori dei diritti e gestire procedure accelerate per complicare l’accesso ai siti per cittadini della Rete italiani. Fin dalle prime inibizioni, il controverso meccanismo italiano ha offerto la massima trasparenza sulle proprie procedure, ormai rodate. È però il numero dei siti inibiti impressi sulla slide di MPA, raffrontato a quelli relativi agli altri paesi europei, a far comprendere come l’avvento del Regolamento AGCOM sia bastato a scatenare l’entusiasmo delle istituzioni che operano a favore della tutela del diritto d’autore e dell’industria, pronti a cambiare opinione su un’Italia da tempo nella lista nera dei paesi pirata.
La realtà italiana è apparentemente paragonabile a quella britannica, che negli ultimi anni ha proceduto a condanne e inibizioni sistematiche , ma in termini numerici, proprio per le più agili procedure amministrative, svetta ancora sui 135 siti colpiti dai provvedimenti del Regno Unito.
Gli altri paesi europei, come indicano gli appunti annotati sulla slide, appaiono variamente intenti nel confronto delle istanze in gioco: ci sono paesi come la Danimarca, storicamente molto attiva nel contrasto alle violazioni online e che conta 41 siti inibiti, come la Spagna, che dispiega con relativa parsimonia e con 24 inibizioni le potenzialità della Ley Sinde, e paesi come la Francia, che ha all’attivo 18 siti irraggiungibili e che sta ancora affinando le proprie strategie antipirateria. Ci sono anche paesi liberi dai filtri come l’Olanda, che attende il parere della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dopo anni di dibattito . Quello che resta da valutare, al di là dei numeri e del plauso dell’industria dei contenuti, è l’efficacia di una strategia delle inibizioni che deve ancora dimostrare la capacità di confrontarsi con utenti sempre più smaliziati e con un business della violazioni magmatico e capace di reinventarsi.
Gaia Bottà