Streaming, RIAA attende Apple Music

Streaming, RIAA attende Apple Music

I numeri del primo semestre del 2015 per il mercato statunitense confermano le tendenze già in atto: l'industria attende il grande balzo con la fine del periodo di prova per la piattaforma di Cupertino. Ammesso che le platee siano disposte a pagare
I numeri del primo semestre del 2015 per il mercato statunitense confermano le tendenze già in atto: l'industria attende il grande balzo con la fine del periodo di prova per la piattaforma di Cupertino. Ammesso che le platee siano disposte a pagare

Il mercato della musica, lo dimostra la competizione ingaggiata tra attori generalisti come Google e Apple e soggetti specializzati come Spotify per conquistarsi il favore di utenti sempre più ricettivi, ha trovato la cifra della propria crescita nello streaming: il settore vale più di un miliardo di dollari, stando ai dati diffusi dalla Recording Industry Association of America (RIAA), vale a dire il 32 per cento dell’intero mercato musicale statunitense.

Percentuali mercato musica USA Il report che illustra i risultati conseguiti dall’industria di settore negli USA nella prima metà del 2015 non fa che confermare una tendenza già solida : nei primi sei mesi del 2015 la musica immateriale vale il 76 per cento del fatturato dell’industria rappresentata da RIAA, per un ammontare di 2,3 miliardi di dollari, mentre nella prima metà del 2014 il comparto digitale costituiva il 71 per cento del mercato, per un valore di 2,186 miliardi.

All’ombra del successo si sta consumando il costante calo dei download che, pur restando la principale fonte di fatturato per il settore digitale, registrano una contrazione da 1,316 miliardi a 1,298 miliardi di dollari. Lo streaming è il concorrente che preme: nei primi sei mesi del 2015 il fatturato registrato per il settore dello streaming è cresciuto del 23 per cento, per un valore di 1,03 miliardi di dollari a fronte degli 834 milioni della prima metà del 2014. Numeri tanto più promettenti se si considera che non riflettono ancora l’ingresso sul mercato di servizi come Apple Music, lanciato alla fine di giugno per i tre mesi di prova gratuita prima di monetizzare con gli abbonamenti, e YouTube Music Key , ancora in una fase di testing.

Al centro delle polemiche in seno all’industria, divisa fra i soggetti più tolleranti rispetto alle soluzioni gratuite supportate dall’advertising e gli intransigenti che sostengono che il modello ad abbonamento sia l’unico a pagare, ci sono i numeri che illustrano il fatturato dei diversi comparti che compongono il business dello streaming.

Comparti streaming

Se i servizi di radio in streaming che si affidano licensing di SoundExchange e sono basati su modello ibrido che combina advertising e sottoscrizione continuano la loro avanzata, a rappresentare la fetta maggiore del settore sono gli abbonamenti : 478 milioni di dollari il fatturato per il primo semestre del 2015, in crescita del 25 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il report di RIAA rileva che in un anno il numero di abbonati paganti è passato da 7,9 a 8,1 milioni : si tratta di un successo meno consistente rispetto a quello regitsrato tra il 2013 e il 2014, quando le piattaforme avaveno guadagnato 2,4 milioni di abbonati.

Abbonamenti

L’industria statunitense si attende però il grande balzo nei prossimi mesi, quando si confronteranno le aspettative riposte in Apple Music con il reale interesse delle platee: per ora le discrepanze tra i dati ufficiali e le ricerche di mercato non aiutano a fare chiarezza sulle prospettive dei consumatori statunitensi, che secondo rilevazioni di Nielsen per il 78 per cento non si dichiarano intenzionati a stipulare alcun abbonamento , soprattutto per i costi ai quali sono proposti sul mercato e per la possibilità di approfittare di alternative gratuite. Pirateria esclusa, i servizi di streaming supportati dalla pubblicità mostrano infatti di godere dei favori del pubblico: crescono del 27 per cento nel giro di un anno, a raggiungere un fatturato semestrale pari a 163 milioni di dollari.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
28 set 2015
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