Facebook, che male fanno i cookie traccianti?

Facebook, che male fanno i cookie traccianti?

Un giudice californiano invita l'accusa a spiegarsi: il social network traccia i propri utenti, ma spetta a loro illustrare le modalità e i danni di questa pratica
Un giudice californiano invita l'accusa a spiegarsi: il social network traccia i propri utenti, ma spetta a loro illustrare le modalità e i danni di questa pratica

Il tracciamento operato da Facebook a mezzo cookie, anche in seguito al logout dal social network, può rappresentare un fastidio, ma in California non verrà giudicato illegale fino a quando gli utenti non dimostreranno l’entità e le dinamiche del danno arrecato.

Dopo tre anni, il giudice incaricato di valutare una class action avviata nel 2012 da un manipolo di utenti del social network ha chiuso il caso , offrendo ai consumatori l’opportunità di presentare dei nuovi documenti, o di rinunciare a combattere.

Ancora prima dei contenziosi aperti in materia di tracciamento a mezzo plugin social, i cittadini californiani lamentavano la pratica adottata da Facebook di disseminare cookie traccianti sulle macchine dei propri utenti, cookie utili a monitorare il loro comportamento in Rete anche nel momento in cui non fossero autenticati sul social network. Il contratto stipulato al momento dell’adesione non prevedeva che venisse accordato l’esplicito consenso per questo tipo tracciamento e Facebook, con il proprio comportamento, avrebbe violato la privacy degli utenti e le normative che regolamentano le intercettazioni : con l’azione legale si chiedeva un risarcimento danni pari a 100 dollari per utente per ogni giorno di violazione, a raggiungere una somma di 15 miliardi di dollari, da dividere fra 150 milioni di utenti potenzialmente coinvolti.

Gli attori della class action, però, avrebbero omesso di entrare nei dettagli delle loro rivendicazioni: il giudice che ha valutato il caso sottolinea che nella denuncia non si segnali presso quali siti si verificasse il tracciamento operato da Facebook, quali dati venissero raccolti e come Facebook li impiegasse o li condividesse con terze parti. Allo stesso modo, secondo il giudice, l’accusa non riesce a spiegare in maniera opportuna come la raccolta dei dati operata da Facebook possa danneggiare economicamente gli utenti : nella class action si sottolineava che gli utenti avrebbero potuto in qualche modo trarre profitto dalle informazioni che Facebook provvede a raccogliere, ma il meccanismo con cui questa operazione avrebbe potuto essere messa in atto appare tutto fuorché chiaro.

Il giudice ha così stabilito che il caso debba essere archiviato, a meno che l’accusa non faccia chiarezza: il termine per presentare dei nuovi documenti è stato fissato per il 30 novembre.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
28 ott 2015
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