Italia e tecnocontrollo, parole in libertà

Italia e tecnocontrollo, parole in libertà

La politica del Belpaese scodella nuove proposte sul fronte della cyber-sicurezza, promettendo di intercettare la PlayStation e di "taggare" i sospetti. Idee bollate come il "futuro" del settore
La politica del Belpaese scodella nuove proposte sul fronte della cyber-sicurezza, promettendo di intercettare la PlayStation e di "taggare" i sospetti. Idee bollate come il "futuro" del settore

Dopo la reazione dei politici francesi contro gli algoritmi crittografici a seguito degli attentati di Parigi, seguite a ruota dalle proposte statunitensi ancora in odore di Patriot Act, in questi giorni tocca alla classe dirigente italiana esibire la proprie proposte in materia di misure di sicurezza al passo coi tempi e con le nuove tecnologie. Vaghe sortite a base di un lessico aggiornato con le tendenze del momento, e a base di soluzioni in circolazione da anni, dall’efficacia a dir poco dubbia.

“Dobbiamo potenziare i nostri sistemi di intercettazione”, ha confermato il ministro della giustizia Andrea Orlando rispondendo alla domanda di una giornalista nel corso di una conferenza stampa, perché oggi gli strumenti di comunicazione che si appoggiano a Internet sono innumerevoli ed è stato segnalato anche “un caso” riguardante la popolare console videoludica di Sony.

L’uso della “Play” da parte dei terroristi è una costruzione a posteriori ricalcata sulle parole del ministro dell’interno belga, come è già stato stabilito nei giorni scorsi, ma la verifica delle fonti non è evidentemente una priorità per i politici italiani. Orlando parla dunque di nuovi fondi e strumenti innovativi per intercettare chat, Skype, WhatsApp e PlayStation, così da auscultare i teenager che si insultano in libertà durante le sessioni videoludiche, e per foraggiare traduttori: 150 milioni di euro per “potenziare le capacità dello stato” in tecnologie e software. Il tutto senza lo straccio di un documento contenente i dettagli del piano.

I dettagli non appaiono molto importanti, nella foga anti-Isis dei politici italiani, e non a caso il presidente del consiglio Matteo Renzi ha intrattenuto l’audience dell’Italian Digital Day parlando della necessità di “taggare i sospetti” tramite il riconoscimento facciale via CCTV pubbliche o private.

Per Renzi chiunque lascia una traccia, quando cammina per strada, e poi non bisogna cedere a “un racconto stereotipato e banale” sulle motivazioni del terrorismo islamista. Anche il ministro dell’interno Angelino Alfano, per non suonare stereotipato e banale, parla del riconoscimento facciale come del “futuro” della sicurezza contro i terroristi e non.

In realtà, al di là della “narrazione” degli esponenti del governo, il riconoscimento facciale che “tagga” i sospetti e difende la società dai cattivi è un racconto al netto dei fatti degno dell’Isola che non c’è: di biometria a riconoscimento facciale si parla da 15 anni , alla faccia del “futuro” del settore, e negli USA FBI ed NSA hanno già i loro database contenenti un numero ignoto di volti da macinare nelle indagini. Ma soprattutto, il riconoscimento facciale è una tecnologia che, nella migliore delle ipotesi fornisce risultati inconcludenti , in scenari di utilizzo reali, e nella peggiore non fa che complicare quelle indagini che Renzi, Alfano e compagnia dicono di voler facilitare.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
27 nov 2015
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