Regolamento AGCOM, la Corte Costituzionale non decide

Regolamento AGCOM, la Corte Costituzionale non decide

La questione di legittimità è inammissibile perché male formulata dal TAR. Nella non decisione della Consulta l'industria dei contenuti e i consumatori, pur schierati su fronti opposti, leggono entrambi segnali incoraggianti. L'autorità amministrativa può continuare ad inibire nel nome del copyright
La questione di legittimità è inammissibile perché male formulata dal TAR. Nella non decisione della Consulta l'industria dei contenuti e i consumatori, pur schierati su fronti opposti, leggono entrambi segnali incoraggianti. L'autorità amministrativa può continuare ad inibire nel nome del copyright

Su un fronte i consumatori, i fornitori di connettività indipendenti, parte dell’industria IT italiana, associazioni di media operativi online, sull’altro fronte l’industria dei contenuti: oggetto del contendere, la legittimità del dibattuto Regolamento AGCOM, che affida ad un’autorità amministrativa il compito di soppesare le richieste dei detentori dei diritti e di disporre inibizioni nei confronti dei siti che ospitino contenuti che violino il copyright. La Corte Costituzionale, chiamata a valutare la compatibilità del Regolamento con la Carta Fondamentale, con la libertà di esprimersi e di informarsi della società civile e la libertà di impresa dei provider, con il ruolo affidato alla magistratura e il diritto del cittadino a difendersi nel corso di un regolare procedimento, non si è pronunciata a favore delle istanze delle une o delle altre parti, ma semplicemente contro il TAR del Lazio, giudicando inammissibile le questioni di legittimità costituzionale sollevate.

Ancora prima che il Regolamento entrasse in vigore , ancor prima che l’authority disponesse la prima inibizione , i consumatori e un manipolo di rappresentanti dei fornitori di connettività e dell’industria IT si erano rivolti al TAR del Lazio per mettere in dubbio la legittimità del Regolamento e chiederne la sospensione: avevano ottenuto che il tribunale prendesse in esame il caso, pur non essendo riusciti nell’intento di disinnescare istantaneamente la macchina dell’enforcement della tutela del diritto d’autore.

Il TAR, ritenendo “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale” aveva invocato il parere della Corte Costituzionale con due ordinanze del settembre 2014: piuttosto che il Regolamento AGCOM, in linea con la legge italiana, avrebbe potuto essere il quadro normativo in cui il Regolamento si incardina a creare attriti con il dettato costituzionale, ammetteva il TAR riviando la decisione alla Consulta. Il Regolamento AGCOM verrebbe a decadere a cascata, qualora la Corte Costituzionale avesse decretato illegittimi il decreto legislativo 70/2003 (articoli 5 , c. 1°, 14 , c. 3°, 15 , c. 2°, e 16 , c. 3°), che recepisce la direttiva e-commerce 2000/31/CE, e il decreto legislativo 177/2005 ( Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici ). Sono questi testi, osserva il TAR, a consentire ad AGCOM di farsi carico di valutare le richieste dei detentori dei diritti e ordinare ai fornitori di connettività di inibire gli accessi ai siti che non provvedano alle rimozione dei contenuti giudicati dalla stessa autorità in violazione del diritto d’autore: l’applicazione delle leggi alla base della sua attività, secondo il Tribunale amministrativo del Lazio, potrebbe confliggere con il principio della libera circolazione dell’informazione (articoli 2 e 21 della Costituzione), con la libertà di iniziativa economica (articolo 41), con il diritto del cittadino al rappresentarsi in un contraddittorio (articolo 24) di fronte a un giudice (articolo 25) e potrebbe violare i “criteri di ragionevolezza e proporzionalità nell’esercizio della discrezionalità legislativa” in mancanza di “parametri idonei a garantire la necessaria ponderazione fra i diversi diritti costituzionali potenzialmente configgenti ovvero (…) criteri che garantiscano che una tale ponderazione avvenga nell’esercizio delle competenze attribuite all’AGCOM”.

Nei mesi successivi si sono avvicendati i pareri di Confindustria Cultura, SIAE, Nuovo IMAIE, dell’Avvocatura generale dello Stato a nome del Governo, tutti a favore di una deposizione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai consumatori, dagli ISP indipendenti, dai media online e da parte dell’industria IT.

La Corte Costituzionale , con la pronuncia 247 , sceglie però di non decidere : le questioni sollevate dalle due ordinanze del TAR “sono inammissibili, in quanto entrambe presentano molteplici profili di contraddittorietà, ambiguità e oscurità nella formulazione della motivazione e del petitum”. La richiesta di valutare le norme che, a monte, legittimerebbero il regolamento AGCOM crea confusione: “il contenuto di ciascuna delle previsioni impugnate è per alcuni aspetti più circoscritto e per altri eccedente rispetto all’oggetto del regolamento di AGCOM. – osservano i giudici della Consulta – Sicché, considerato che la Corte giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni (sentenza n. 94 del 1996), una decisione di accoglimento – qual è quella richiesta dal primo punto del dispositivo dell’ordinanza di rimessione – non avrebbe l’effetto auspicato dal giudice rimettente, ma finirebbe per espungere dall’ordinamento disposizioni che riguardano, o aspetti sostanziali della disciplina delle comunicazioni elettroniche, o l’attribuzione ad AGCOM di funzioni e poteri che non solo non sono in discussione, ma che devono essere attribuiti, conformemente a quanto previsto dalla direttiva europea”.

Di fatto, la Corte Costituzionale non entra nel merito del Regolamento AGCOM e dei poteri attribuiti all’authority , non mette sulla bilancia il diritto d’autore e la libera circolazione dell’informazione, né valuta se il cittadino, in questo contesto, possa esercitare il proprio diritto a vedersi riconoscere un equo giudizio. Il TAR del Lazio dovrà sbrogliare autonomamente il nodo della legittimità del Regolamento AGCOM, ed eventualmente toccherà al Consiglio di Stato essere coinvolto, in caso di appello.

Le parti, da un lato i consumatori e dall’altro l’industria dei contenuti, trovano però motivo per rallegrarsi.
A partire dall’avvocato Guido Scorza , latore delle istanze di ANSO – Associazione Nazionale della Stampa Online, Federazione Media Digitali Indipendenti, Open Media Coalition, e dall’avvocato Fulvio Sarzana , rappresentante di Altroconsumo , i ricorrenti contro il Regolamento AGCOM leggono nella decisione della Corte Costituzionale uno stralcio su cui fa leva la loro fiducia. “Occorre preliminarmente osservare che le disposizioni censurate non attribuiscono espressamente ad Agcom un potere regolamentare in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”, riferisce la Corte Costituzionale: è questo passaggio, spiega l’ avvocato Scorza a Punto Informatico , a “mettere nero su bianco che l’AGCOM ha agito senza che la legge le attribuisse i necessari poteri il che, tradotto in parole più semplici, significa che il Regolamento – in attesa che un Giudice amministrativo lo dichiari come tale – è, almeno, in odor di illegittimità”. L’ avvocato Sarzana confida nel futuro: “si aprono scenari importanti davanti la giustizia (non solo) amministrativa” prospetta a Punto Informatico , rilevando che “la Corte afferma esplicitamente che l’Agcom non è dotata del potere regolamentare sul diritto d’autore, e questo comporta in maniera evidente come la stessa Agcom non potesse emettere un regolamento come quelli che ha emanato”.

Guardano altresì al futuro i rappresentanti dei detentori dei diritti, con in prima linea Confindustria Cultura a interpretare però la sentenza con un orientamento di fronte totalmente opposto, a dimostrazione della “piena legittimità e costituzionalità del provvedimento dell’Autorità, che esce rafforzato da questi due giudizi, amministrativo e costituzionale”. “Abbiamo sempre avuto fiducia nella compatibilità delle norme italiane alla base del regolamento e questa decisione conferma anche che i ricorsi erano infondati – ha dichiarato a Punto Informatico Enzo Mazza, CEO di FIMI – Ora si proceda senza indugio a perfezionare gli aspetti operativi del regolamento per renderlo ancora più efficace”: nello specifico, “la necessità più urgente è l’applicazione dei blocchi a livello IP e DNS come già avviene sul piano penale, poi si tratta di valutare le altre possibili estensioni del regolamento ad ulteriori intermediari, penso ad esempio, ai motori di ricerca”.

AGCOM, nel frattempo, continuerà a macinare ordini di inibizione contribuendo parallelamente all’ autorità giudiziaria a confermare l’Italia il primo paese europeo per siti resi irraggiungibili . La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che con una cautela quasi sibillina raccomanda la proporzionalità nel bilanciare la tutela del diritto d’autore con i diritti dei netizen ad esprimersi ed informarsi online e i diritti degli ISP a non essere limitati nella loro libertà di impresa, non sembra essere d’aiuto nel supportare le prese di posizione, spesso discordanti , degli stati membri in materia di repressione degli abusi: il baricentro, ancora sfuggente, risiede probabilmente nella valutazione oggettiva di quanto le inibizioni si dimostreranno efficaci nel confrontarsi con un business delle violazioni sempre più reattivo e con utenti sempre più smaliziati.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
4 dic 2015
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