Copyright UE, potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere

Copyright UE, potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere

Nuovi documenti sgorgati dalle istituzioni europee confermano le estensioni dei diritti a favore degli editori e degli operatori di streaming di contenuti protetti. In attesa della discussione sulla proposta di direttiva, si torna a parlare di tassa sui link e geoblocking
Nuovi documenti sgorgati dalle istituzioni europee confermano le estensioni dei diritti a favore degli editori e degli operatori di streaming di contenuti protetti. In attesa della discussione sulla proposta di direttiva, si torna a parlare di tassa sui link e geoblocking

Nuove indiscrezioni sulla proposta di riforma del copyright a livello europeo confermano le più pessimistiche anticipazioni : dall’estensione della tutela del diritto d’autore a favore degli editori fino all’erosione dei principi di non responsabilità degli intermediari previsto dalla direttiva Europea 31/2000/CE.

A sollevare un polverone stavolta è la bozza della Direttiva di riforma della disciplina del copyright nel Mercato Digitale Unico, che rispetto al piano di azione diffuso nei giorni scorsi fornisce maggiori dettagli sulle intenzioni delle istituzioni europee: in ogni caso conferma la volontà di abbracciare la causa degli editori a discapito di tutte quelle voci che spingevano per una visione progressista della tutela della proprietà intellettuale online.

Le trasmissioni europee ed il geoblocking
Non sembra previsto nessun intervento per smussare gli ostacoli posti dalla presenza di 28 diverse forme, una per ogni Stato Membro, di diritto d’autore/copyright, anzi. I problemi già riscontrati nelle trasmissioni sullo spettro radio sono artificialmente ricreati online con la possibilità da parte degli operatori di streaming e di altri operatori del settore di bloccare la visione, permettendola solo in determinati paesi e con la previsione solo della cosiddetta regola del “paese d’origine” che permette di avere una sola licenza per determinati contenuti fino a dove il segnale non è ricevuto da un altro operatore. Una formulazione che permette tuttavia di trovare una soluzione solo alle versioni streaming di trasmissioni di emittenti tradizionali e non a realtà native come per esempio Netflix. Per tutte le altre questioni la Commissione si limita invece semplicemente a suggerire “un dialogo tra le parti” con buona pace dell’idea del mercato digitale unico per i contenuti audiovisivi.

Le limitazioni alle eccezioni del copyright
Sulle barricate c’è naturalmente la parlamentare europea del Partito Pirata Julia Reda, che si ritrova al centro del dibattito, anche perché la riforma sembra aver del tutto ignorato il report da lei compilato che prevedeva, tra l’altro, una visione molto condivisa dagli osservatori relativamente alla previsione della libertà di panorama, alle eccezioni per studio e ricerca, per gli ebook in prestito nelle biblioteche ed in generale ad un’applicazione europea del concetto di “fair use” statunitense.


Nessuna di tale eccezioni è infatti prevista dal testo, che affronta solo quella legata alle tecnologie per il data mining impiegate dalle organizzazioni di ricerca scientifica, alle illustrazioni per l’istruzione “negli ambienti online” (ma nei paesi dove sono previste forme di licensing in materia può essere ignorata) e alla preservazione (dunque non diffusione digitale) della cultura nelle biblioteche e negli archivi. Per quest’ultimo aspetto, poi, si tratta piuttosto di un meccanismo di gestione condivisa di opere uscite dal commercio e non una vera e propria eccezione al copyright.

Crescenti responsabilità per gli intermediari?
La proposta di riforma, inoltre, all’art. 13 prevede che gli Stati Membri obblighino “i servizi della società dell’informazione che danno accesso e conservano ampie quantità di opere (…) caricate dai propri utenti ad adottare sistemi di gestione e controllo dei diritti di proprietà intellettuale”. Ovvero misure tipo lo YouTube Content ID. Come sottolineato da Reda, la Commissione sembra ignorare non solo “i difetti del sistema di identificazione di YouTube” che regolarmente, per esempio, colpiscono video di fan, recensioni e home video che includono parti di contenuti protetti da copyright anche quando tale utilizzo è minimo o comunque rientrante nelle limitazioni ai diritti di proprietà intellettuale previsti dalla legge, ma anche i devastanti effetti che tale obbligo potrebbe avere su realtà meno colossali, come SoundCloud, che con tali oneri non potranno mai arrivare a competere con YouTube e compagnia. E soprattutto sembra fare un notevole passo indietro rispetto ai principi della Direttiva sul commercio elettronico.

I diritti ancillari degli editori e le tasse sui link
La parte che tuttavia più spaventa è l’art. 11 della proposta di riforma, relativa ai cosiddetti diritti ancillari o connessi ovvero diritti d’autore già riconosciuti in ambito musicale per esempio agli esecutori e alle emittenti e che riguardano non lo spunto creativo dell’opera stessa quanto l’attività che ne permette la fruizione.

Si prevede per gli editori addirittura una protezione di 20 anni sull’utilizzo delle notizie pubblicate online : messa così, senza alcuna previsione di eccezione per determinati utilizzi o tipi di utenti, si tratta di una minaccia non solo per aggregatori di news e motori di ricerca ma per chiunque operi online, dai social network agli utenti.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il 1 set 2016
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