Email all'estero, alleanza contro i mandati

Email all'estero, alleanza contro i mandati

Apple, Microsoft, Amazon e Cisco si sono schierate con Google. Puntano a combattere in tribunale i mandati che impongono la consegna dei dati custoditi all'estero
Apple, Microsoft, Amazon e Cisco si sono schierate con Google. Puntano a combattere in tribunale i mandati che impongono la consegna dei dati custoditi all'estero

Apple, Microsoft, Amazon e Cisco hanno prodotto una deposizione congiunta a favore di Google nella causa che la vede contrapposta all’FBI davanti ai Tribunali della Pennsylvania. Il caso è quello che ha visto lo scorso febbraio il giudice Thomas Reuter stabilire che Google dovesse cedere alle richieste delle autorità a stelle e strisce per l’accesso ai dati dei propri utenti Gmail, anche se essi sono conservati su server localizzati fuori dai confini degli Stati Uniti: al centro accuse di frode legate ad account del servizi, i cui server sono appunto localizzati in parte all’estero.

Il giudice di Philadelphia nella sua decisione ha tuttavia in pratica aggirato il problema della portata del mandato: l’atto di trasferire email da server stranieri in modo da permetterne la verifica da parte degli agenti dell’FBI sul suolo degli Stati Uniti – afferma – non costituisce un sequestro dal momento che “non vi è un’interferenza rilevante” con la condizione propria di “possesso” dei dati da parte dell’utente.

Si tratta solo di una decisione di primo grado, contro cui naturalmente Google è subito ricorsa in appello trovando ora l’appoggio delle altre grandi multinazionali ITC. Nell’ intervenire con un amicus brief a suo favore, Apple, Microsoft, Amazon e Cisco sostengono che “quando un mandato punta a ottenere contenuti email ospitati da un datacenter posizionato fuori dal confine degli Stati Uniti, l’invasione della privacy viene effettuata all’estero, nel Paese dove sono fisicamente ospitate le sue comunicazioni private e dove vi si ha accesso e si procede alla copia al beneficio delle forze dell’ordine”. Questo, proprio perché avviene fuori dalla giurisdizione degli Stati Uniti, comporta una violazione della privacy in quanto mancano le necessarie tutele, e costituisce un pericoloso precedente anche per le autorità di altri stati che potrebbero al pari chiedere l’accesso alle comunicazioni dei cittadini statunitensi.

D’altra parte tale decisione rischia di rappresentare soprattutto un pericoloso precedente che estenderebbe notevolmente la portata dei mandati delle forze dell’ordine statunitensi. Prima di questa sentenza, infatti, Microsoft era finora riuscita a contestare con successo i mandati di accesso da parte dell’FBI agli account di propri utenti Outlook per via del fatto fatto che i server fossero localizzati all’estero: anche se in un primo momento i giudici avevano sentenziato che Microsoft sarebbe stata costretta a consegnare le informazioni gestite per conto terzi, in particolare perché ritenevano che la normativa di riferimento che assicura la protezione agli utenti (lo Stored Communications Act , SCA) non valesse fuori dalla giurisdizione USA, la decisione era poi stata ribaltata, soprattutto sulla base della considerazione che i mandati di sequestro statunitensi dovessero avere solo una portata nazionale.

Per evitare che decisioni simili portino ad una modifica della giurisprudenza che permetta apertamente l’accesso a dati posizionati all’estero, Apple ha inoltre invocato nella sua deposizione una modifica dello SCA per chiarirne una volta e per tutte i limiti.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
17 mar 2017
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