Il valore delle azioni di Uber ha registrato un vero e proprio crollo nel mercato secondario e la sua valutazione sembra essere scesa da 68 miliardi a circa 50 miliardi di dollari .
I problemi di Uber potrebbero pertanto non limitarsi alle cause sulla proprietà intellettuale delle tecnologie in sviluppo per progetti futuri come quello delle auto senza pilota o alla credibilità del suo CEO, ma essere legati alla sua stessa essenza, ovvero ad una cultura fatta di pratiche commerciali aggressive e spregio di privacy e diritti, o almeno dell’incapacità di controllare la propria immagine dal punto di vista della comunicazione.
Questo potrebbe ripercuotersi sul suo stesso modello di business: certamente sia i problemi legali che quelli di pubblicità possono influire sull’appetibilità delle azioni della startup, e questo può far chiudere i rubinetti degli investimenti ancora necessari per far rimanere competitiva l’app e traghettare l’azienda verso le nuove tecnologie, come quelle necessarie alle auto senza pilota.
Ad approfittare degli ostacoli che Uber sta trovando sulla sua strada, sembra essere uno dei suoi primi competitor diretti, finora rimasto alle spalle come secondo arrivato sul mercato del car sharing: Lyft sta vedendo crescere la valutazione delle sue azioni, che sono vendute ora sul mercato secondario senza il tradizionale sconto del 20 per cento, ma solo tra il 13 e il 9 per cento sulla valutazione del mercato primario, fattore che gli ha permesso di chiudere con 600 milioni di investimenti extra e una valutazione di 7,5 miliardi di dollari .
Un apprezzamento quello di Lyft che potrebbe essere direttamente correlato con la perdita di fascino delle azioni Uber. Difficile, dicono gli osservatori, prevedere se si tratti di un trend destinato a consolidarsi o se è soltanto legato al momento; quel che è certo è che la posizione di Uber non appare più solida sul fronte del car sharing e pertanto gli investimenti potrebbero essere dirottati su altri settori più dinamici e appetibili: le auto senza pilota e la tecnologia ad essa associata. Ma come in tutti i settori ad alto tasso di avvenirismo, gli operatori che qui decidono di avventurarsi corrono il rischio di essere triturati se non si dimostrano all’altezza o abbastanza ambiziosi, come prova la recente chiusura della startup Pearl Automation, che ha visto il suo sistema di retrovisione auto da 500 dollari bocciato categoricamente dal mercato.
Claudio Tamburrino