Il Tribunale della Corea del Sud ha condannato il miliardario erede dell’impero Samsung Lee Jae-yong a cinque anni di reclusione .
Il 49enne noto come Jay Y Lee, era il vicepresidente e di fatto detentore del pacchetto di controllo di Samsung e da Febbraio era in prigione in attesa di giudizio: rischiava 12 anni di galera per le accuse di corruzione, spergiuro e per aver nascosto beni all’estero.
In particolare secondo le autorità avrebbe fatto donazioni pari a 41 miliardi di won (circa 36 milioni di dollari) ad una fondazione non profit gestita da Choi Soon-sil, amico dell’ex presidente della Corea del Sud Park Geun-hye, e per l’acquisto tra l’altro di un cavallo per la figlia, in cambio del supporto governativo ad una grande ristrutturazione che avrebbe rafforzato il controllo di Lee su Samsung. In pratica Lee avrebbe cercato nella politica l’appoggio necessario per avere la forza per subentrare al padre malato.
L’operazione finanziaria al centro di questo braccio di ferro aziendale si è così conclusa con successo con la fusione di due entità facenti parte dell’universo Samsung ed ora i giudici hanno verificato che i pagamenti sono avvenuti tramite Samsung Electronics e la Germania (pertanto fondi esteri) e che Lee non poteva non esserne a conoscenza.
I legali di Lee, che hanno dichiarato di voler ricorrere in appello , avevano adottato una linea difensiva che, non potendo negare i pagamenti, affermava che fossero avvenuti a sua insaputa .
Ad essere coinvolti nei guai di Lee anche due altri dirigenti di Samsung, Choi Gee-sung e Chang Choong-ki, condannati a 4 anni di prigione, il Presidente Park che ha subìto per questo a furor di popolo l’impeachment ed ora dovrà affrontare lei stessa un processo per corruzione, e Choi Soon-si, già condannata a tre anni insieme al capo del National Pension Service, Moon Hyung-pyo, anch’esso coinvolto nella corruzione.
Samsung sembra , in tutto ciò, essere riuscita a slegarsi dal destino oscuro del suo erede designato: già l’ ultima trimestrale dimostra che il mercato non ne ha risentito.
Claudio Tamburrino