L’asta per il 5G è alle porte e a confermarlo sono le istituzioni. In una recente intervista a La Stampa , il sottosegretario al Mise con delega alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, ha vagliato la possibilità di avviare un progetto da far confluire nel calderone della prossima legge di bilancio con il duplice scopo di incentivare la diffusione della nuova tecnologia , attualmente in sperimentazione, e recuperare fondi per ridurre il debito pubblico. Dall’asta sono previsti almeno 2 miliardi di euro , una cifra forse superiore a quanto si potrebbe ottenere dalla cessione di quote di Poste Italiane o Ferrovie dello Stato.
“Si può partire da scelte meno controverse che non mirino solo a fare cassa, ma mettano l’accento sullo sviluppo industriale di un settore. Ad esempio si potrebbe varare in tempi rapidi l’asta per le frequenze del 5G” è il commento di Giacomelli relativamente alla possibilità di un rafforzamento della privatizzazione delle due aziende citate.
Oggetto dell’asta sarebbero le frequenze comprese tra i 3,4 e 3,8 GHz , attualmente occupate dal ministero della Difesa, in parte o affidati a operatori terzi su base locale. Linkem, Tiscali e Tim ad esempio hanno diritto d’utilizzo delle frequenze tra i 3,4 e 3,6 GHz fino al 2022. Il rimanente per arrivare a coprire i 3,8 GHz è occupato da ponti radio Rai mentre risulterebbero liberi allo stato attuale 100 MHz. Le altre frequenze 24.25-27.5 GHz rimarranno probabilmente fuori dal prossimo bando. In dubbio invece i 700 MHz , nonostante una certa pressione da parte dell’UE affinché l’Italia liberi la frequenza da destinare per l’appunto a servizi di telefonia e connessione. Dello stesso parere è l’ Agcom . Il 16 marzo il Parlamento di Strasburgo ha infatti approvato in via definitiva il piano per la riallocazione della banda UHF (da 470 a 790 MHz) ai servizi mobile.
Comunque sia è evidente che l’impatto dell’assegnazione sarà complesso e lungo, visti i probabili problemi gestionali che comporta la sostituzione delle bande attualmente utilizzate da diversi operatori.
Le telco si stanno preventivamente preparando ad accaparrarsi le loro quote, centrali per la loro crescita economica e per operare in un mercato quanto mai concorrenziale. Già di recente le aziende di telecomunicazioni hanno sborsato 2 miliardi per il rinnovo fino al 2029 delle frequenze 900 e 1800 MHz, nel 2011 avevano già speso 4 miliardi per gli 800 MHz, senza scordare che Vodafone e Telecom nel 2015 si sono portate a casa le frequenze della cosiddetta Banda L (1452 e i 1492 Mhz) per 230 milioni cadauna potenziando le loro reti.
I nuovi aggiornamenti al dossier alla presidenza del Consiglio seguito dal vicesegretario generale Nino Rizzo Nervo sono attesi per metà settembre.
Mirko Zago