WhatsApp, cofondatore dimissionario

WhatsApp, cofondatore dimissionario

Brian Acton ha annunciato di lasciare l'azienda per dedicarsi ad un progetto no profit. Il recente avvio di una nuova strategia di monetizzazione voluta da Facebook potrebbe aver favorito la decisione
Brian Acton ha annunciato di lasciare l'azienda per dedicarsi ad un progetto no profit. Il recente avvio di una nuova strategia di monetizzazione voluta da Facebook potrebbe aver favorito la decisione

Brian Acton, cofondatore di WhatsApp con l’attuale CEO Jan Koum, lascia il team per dedicarsi ad altre attività più inclini ai suoi interessi . Come egli stesso dichiara con un post su Facebook, a cui Mark Zuckerberg ha prontamente donato un like, “dopo 8 anni in WhatsApp ho deciso di andare avanti e iniziare un nuovo capitolo nella mia vita. Ho deciso di avviare una no profit focalizzata su tecnologia e comunicazione”. Acton ha anche espresso la consapevolezza, all’alba dei suoi 45 anni, di sentirsi legittimato ad assumere nuovi rischi, contando su una certa flessibilità. Naturalmente non sono mancate parole di lode per quanto svolto fino a questo momento. Dopotutto Acton se ne va con l’orgoglio di aver visto la sua creatura crescere e raggiungere traguardi inaspettati (da poco è stato tagliato il nastro del miliardo di utenti al giorno).

Brian Acton

Per alcuni osservatori non sarebbe la volontà di avviare un nuovo progetto legato a tematiche sociali il motivo dell’abbandono di WhatsApp (o per meglio dire Facebook dopo l’ acquisizione avvenuta nel 2014). La motivazione sarebbe da cercare in divergenze di pensiero su quale sia l’evoluzione più consona del prodotto .

Si tratta naturalmente di illazioni , ma che troverebbero almeno in parte fondamento sulla volontà da sempre sostenuta da Acton di voler mantenere la sua creatura libera dalla pubblicità.

Facebook è un’azienda alla ricerca di profitto. L’acquisizione di WhatsApp è stata dettata dalla volontà di recuperare in fretta terreno sulla messaggistica rafforzando il parco utenti e creando complementarietà con il suo social network. Condizioni necessarie per aprire le porte a strategie di monetizzazione , da poco annunciate o dedotte. È il caso ad esempio dei micro pagamenti attraverso l’app (in test in India) e l’attivazione di account business , quest’ultimo premessa per un approdo di forme pubblicitarie sulla piattaforma .

Evidentemente i risultati raggiunti in termini di utilizzo e popolarità dell’app di messaggistica sono ormai maturi per garantire crescenti profitti per Facebook . Per stessa ammissione dell’azienda , non c’è tempo per rallentamenti, gli introiti sono indispensabili per garantire crescite a doppia cifra ancora a lungo. Le ultime trimestrali stanno effettivamente dando ragione a tutte le scelte dell’azienda operate fino a qui, evidentemente anche quelle di aumentare i costi per l’advertising (che secondo le stime hanno subito rialzi fino al 24 per cento per singola unità) oltre che approntare discreti tagli ai costi. Solo i dati confermeranno a questo punto se la deriva “commerciale” a cui WhatsApp si appresta ad andare incontro sarà un buco nell’acqua o un successo.

A prescindere da come andrà, Acton non ci sarà. E la sua scelta è un apprezzabile segno di onestà verso gli utilizzatori, che fino ad oggi si sono fidati della promessa sua e del suo socio di non voler ospitare pubblicità su WhatsApp . “La pubblicità non è solo un’interruzione dell’estetica, è un insulto alla vostra intelligenza e un’interruzione dei vostri pensieri”, scrivevano Acton e Koum il 18 giugno 2012 sul blog . Quelle parole sono ancora lì, ma per quanto ancora?

Mirko Zago

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Pubblicato il
14 set 2017
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