Cosa rimane dell’incontro tra Facebook ed il Parlamento Europeo ? Pressoché nulla. E non poteva essere altrimenti. Nel presentare l’appuntamento lo avevamo già anticipato: la finalità non poteva essere certo quella di arrivare ad uno scontro in diretta streaming che non avrebbe giovato ad alcuno, ed al tempo stesso se Mark Zuckerberg non fosse stato rassicurato su tempi e modi dell’appuntamento non avrebbe di certo accettato l’invito a comparire.
La capacità di Antonio Tajani è stata nel cucire un compromesso che potesse portare comunque Zuckerberg al Parlamento Europeo, dove ha riferito circa le attività di Facebook in rapporto alla gestione dei dati personali e altri aspetti considerati centrali nel dibattito nel vecchio continente; al tempo stesso tale compromesso ha generato una situazione ideale affinché la montagna partorisse il topolino, riducendo al lumicino le informazioni effettivamente trapelate.
Il format ha fatto sì che il tempo dedicato alle domande fosse molto maggiore rispetto a quello dedicato alle risposte , e così i 75 minuti previsti son volati via con una diretta streaming che ha mostrato in volto ognuno degli interroganti e ben poche espressioni da parte di un interrogato evidentemente rassicurato dal canovaccio.
Le maggiori accuse a Zuckerberg sono giunte da Guy Verhofstadt , il quale ha giocato la carta “The Circle” per suggestionare gli ascoltatori circa il ruolo di Facebook nella società ed ha infine chiesto a Zuckerberg che ruolo voglia che gli venga riconosciuto nella storia: un grande innovatore del calibro di Steve Jobs e Bill Gates, oppure colui il quale ha dato vita ad una creatura in grado di smembrare le democrazie?
Il video dell’incontro è disponibile sulla pagina Facebook del Parlamento Europeo, ma i contenuti sono sostanzialmente quelli già ascoltati nei precedenti incontri: Zuckerberg promette massimo impegno da parte del gruppo contro terrorismo e fake news, si sta muovendo per correggere il tiro dopo i problemi con Cambridge Analytica e promette di collaborare su qualsivoglia richiesta raccolta dalle istituzioni.
Si tratta tuttavia dell’ennesimo incontro senza colpo ferire, il che consente a Facebook di uscire dal marasma degli ultimi mesi con un profilo ripulito, se non ricostruito: anche le minacce in tema antitrust son sembrate cadere al momento pressoché nel vuoto e per le istituzioni europee un eventuale rilancio dovrà arrivare a bocce ferme, con il CEO ormai tornato a Menlo Park e con Facebook non certo lontano dall’essere ormai fuori pericolo. La verità è che anche il Parlamento Europeo non sembra aver avuto la volontà di inchiodare Zuckerberg a responsabiltà che la politica non è stata bene in grado di identificare: si è considerato sufficiente dimostrare di aver la capacità di imporre un’audizione , portando il CEO presso le sale del potere europeo e costringendo simbolicamente Facebook a rispondere delle proprie azioni anche in territorio extra-USA.
Così è stato, e simbolicamente la cosa ha un suo innegabile significato. Ma in questo significato si cela anche la moneta di scambio che Zuckerberg ha saggiamente usato per defilarsi da una situazione problematica: il compromesso sulla privacy andrà probabilmente ritracciato sulla base dei paletti imposti dall’UE, ma le condizioni sono tali per cui il gruppo potrà giocarsi le proprie carte senza un eccessivo peso sulle spalle. Zuckerberg si è messo in gioco, ha risposto direttamente alle richieste europee e questo depone a suo favore in una fase innegabilmente cruciale per il futuro del social network.