Apple, la legge non impone l'accesso agli iPhone

Apple, la legge non impone l'accesso agli iPhone

In un caso simile a quello di San Bernardino, un giudice sostiene che l'All Writs Act, brandito per forzare Cupertino a collaborare con la giustizia, non può essere interpretato in maniera tanto estensiva da forzarla a mettere a rischio la privacy degli utenti
In un caso simile a quello di San Bernardino, un giudice sostiene che l'All Writs Act, brandito per forzare Cupertino a collaborare con la giustizia, non può essere interpretato in maniera tanto estensiva da forzarla a mettere a rischio la privacy degli utenti

Il caso non scuote la società civile come quello che ha per oggetto l’iPhone del killer di San Bernardino , ma le contingenze sono per certi versi analoghe: le forze dell’ordine hanno chiesto ad Apple di collaborare per fornire l’accesso ai dati conservati su un iPhone al centro di un caso giudiziario. Il giudice di New York incaricato di soppesare il contenzioso ritiene che Cupertino non debba assistere le forze dell’ordine nello sblocco del terminale.

Le differenze tra il caso di San Bernardino, che sta infiammando l’ opinione pubblica e il mercato , e questo caso che si sta dibattendo a New York esistono, ma giocano a favore delle ragioni di Apple. Il governo vorrebbe accedere ai dati ospitati sull’iPhone 5S, che monta iOS7, di un sospetto spacciatore che si è già dichiarato colpevole: a differenza del caso di San Bernardino, che coinvolge un iPhone 5C con iOS 9 e per cui ad Apple è stato chiesto di sviluppare un nuovo firmware per agevolare i tentativi di accesso dell’FBI, in questo caso ad Apple basterebbe agire come ha già fatto in passato, estraendo dati che non sono resi inaccessibile dal sistema di cifratura previsto sugli OS più recenti.
In comune con il caso si San Bernardino, e non solo , c’è però la leva normativa sulla base della quale gli inquirenti chiedono l’intervento della Mela, l’All Writs Act del 1789, e la determinazione con cui Apple si oppone all’intervento.

Il giudice di New York dubita appunto dell’ interpretazione estensiva di un testo legislativo del diciottesimo secolo , capace di “produrre risultati assurdi e non ammissibili” sia in termini di obblighi per le aziende private , sia in termini di discostamento rispetto alle intenzioni originarie del Congresso.
“In un mondo in cui tanti dispositivi, non solo smartphone, saranno connessi alla Internet delle Cose – riferisce il giudice, attento al dibattito nella community degli esperti di sicurezza – la teoria del governo secondo cui un contratto di licenza permetta di obbligare un produttore ad aiutare lo stesso governo a sorvegliare l’utente di questi prodotti sfocerebbe in una espansione virtualmente illimitata dell’autorità legale del governo, a violare surrettiziamente la privacy personale”.

Il giudice ha così respinto la richiesta del governo di accedere ai dati conservati sull’iPhone del sospetto, invitando il legislatore, necessariamente informato della tecnologia e delle sue implicazioni sulle vite dei cittadini, a discutere per trovare un valido punto di riferimento: “Come si debbano bilanciare gli interessi in gioco è una questione di importanza critica per la nostra società e dare una risposta è sempre più urgente, visto che la corrente di innovazione tecnologica fluisce in una maniera che era imprevedibile anche solo pochi decenni fa”.
C’è chi prevede che la decisione di New York possa evere implicazioni sul caso dell’iPhone di San Bernardino, che si sta discutendo in California.
Se il Dipartimento di Giustizia ha preannunciato l’appello per il contenzioso newyorchese, Apple ha preparato e diffuso il discorso che pronuncerà di fronte al Congresso, in programma per le prossime ore: “L’FBI ci sta chiedendo di indebolire la sicurezza dei nostri prodotti – riferirà il vice presidente e general counsel di Cupertino Bruce Sewell – hacker e cybercriminali potrebbero usare la stessa soluzione per attentare alla nostra privacy e alla nostra sicurezza personale. Costituirebbe un pericoloso precedente di ingerenza del governo ai danni della privacy e della sicurezza dei cittadini”.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
1 mar 2016
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