Biometria sugli scolari, Blair impari dalla Cina

Biometria sugli scolari, Blair impari dalla Cina

Lo chiedono i Lords, scandalizzati che il Governo di Londra proceda con misure di identificazione a carico dei giovani studenti delle scuole britanniche. Ma la Cina non è, forse, l'esempio migliore
Lo chiedono i Lords, scandalizzati che il Governo di Londra proceda con misure di identificazione a carico dei giovani studenti delle scuole britanniche. Ma la Cina non è, forse, l'esempio migliore

Londra – Il premier britannico Tony Blair dovrebbe imparare dai cinesi: nella House of Lords del parlamento di Sua Maestà si parla di “sindrome cinese” per l’iniziativa del governo rivolta a schedatura e riconoscimento delle impronte degli alunni del Regno. Il governo comunista cinese, dicono i Lord, è meno ossessivo di quello inglese .

Un polemico “invito” ad imitare Pechino arriva dalla baronessa Joan Walmsley, portavoce dei Liberali Democratici per il settore educazione: “La pratica di prendere le impronte nelle scuole è stata bandita in Cina perché troppo intrusiva e perché considerata una violazione dei diritti dei ragazzi, mentre qui da noi è oltremodo diffusa”, ha dichiarato in un’audizione. E ha poi suggerito di vietare l’identificazione biometrica degli studenti fino a che la pratica non sarà espressamente scelta dai genitori.

Lord Adonis, sottosegretario del Dipartimento per l’educazione, ha ignorato il confronto Cina-Regno Unito, sostenendo comunque che i genitori sono stati regolarmente informati delle iniziative intraprese dalle scuole frequentate dai figli. Risposta che ha provocato disappunto nella baronessa, perché la mancanza di potere decisionale da parte dei genitori sulla questione è proprio uno dei principali motivi del contendere, come dimostrano iniziative di critica come quella di LeaveThemKidsAlone.com .

Un altro Lord si chiede poi quale possa essere la reale utilità della schedatura delle impronte degli studenti: il sottosegretario risponde con argomenti quali il controllo del prestito dei libri nelle biblioteche scolastiche e la gestione delle razioni nelle sale mensa.

Ma in Cina come vanno realmente le cose? Il paese che promuove e pratica la censura di stato ha effettivamente fatto registrare un divieto dell’utilizzo della biometria per identificare gli studenti, basando la propria decisione sulla totale mancanza di utilità nel collezionare dati di questo tipo. Roderick Woo, Commissario per la Privacy di Hong Kong, aveva nel novembre scorso bloccato l’utilizzo di tecnologie di identificazione installate da una scuola nel distretto di Kowloon.

È necessario fare considerazioni sul lungo periodo, sostiene Woo, e stabilire anche “se sia una buona educazione per i giovani che stanno crescendo pensare alla privacy o ai propri dati personali come qualcosa di importante o meno”. Woo, che invita gli istituti ad utilizzare metodologie di controllo meno intrusive, ci tiene ad ogni modo a sottolineare di essere un po’ seccato per il riferimento alla sua decisione come “cinese” : “Siamo un solo paese a due sistemi – dice il commissario – e questo è un fatto principalmente di Hong Kong”.

E quasi a ricordare al mondo, e soprattutto ai Lord faciloni inglesi, che la Cina in realtà è davvero tutt’altra cosa , proprio in queste ore nuovi casi dimostrano il pugno duro del regime nei confronti di chi esprime in libertà i propri pensieri. La prima vicenda, segnalata da Reuters , riguarda Zhang Jianhong, del portale di notizie Aegean Sea, condannato a sei anni di galera perché, con i pezzi pubblicati sul suo sito, avrebbe incitato “al rovesciamento del potere dello stato”.

“Accuse assolutamente prive di senso”, lamenta il legale di Li Hong (lo pseudonimo con cui Jianhong era conosciuto online), che si sarebbe limitato ad esercitare il diritto alla libertà di parola “garantito dalla Costituzione cinese”. Libertà che, come dimostra il caso di Zhang Ming, preside della facoltà di Scienze Politiche dell’università di Renmin licenziato per aver scritto troppo su un sito, appare più un’ipotesi che una certezza giuridica. Il cinquantenne Ming avrebbe rotto “regole non scritte” denunciando la burocratizzazione degli atenei cinesi, sotto stretto controllo da parte degli apparati di potere comunisti che ne plasmano la crescita culturale. Il preside, che pare potrà comunque rimanere nell’università e insegnare, ha infranto un tabù portando a conoscenza dei media il problema endemico degli istituti educativi cinesi.

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
21 mar 2007
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