Brave browser, advertising contro advertising

Brave browser, advertising contro advertising

Il cofondatore di Mozilla e padre di Javascript Brendan Eich annuncia l'avvento di un browser che blocca la pubblicità e il tracciamento per sostituirlo con altra pubblicità personalizzata. Gli utenti, promette, avranno privacy e controllo, anche sulla retribuzione degli editori
Il cofondatore di Mozilla e padre di Javascript Brendan Eich annuncia l'avvento di un browser che blocca la pubblicità e il tracciamento per sostituirlo con altra pubblicità personalizzata. Gli utenti, promette, avranno privacy e controllo, anche sulla retribuzione degli editori

Sostituire l’advertising tracciante, invasivo e capace di rallentare la navigazione con dell’advertising meno impopolare, più rispettoso nei confronti degli utenti: è questa l’idea alla base di Brave , browser sviluppato dal creatore di JavaScript e dall’ ex CEO e cofondatore di Mozilla , modello di business che si innesta fra quello dell’editoria online e quello emergente dell’adblocking e della tutela degli utenti, con l’auspicio di conquistare utenti e mercato, e ritagliare per la propria startup un profitto.

Brave è un browser per dispositivi dekstop Windows, OS X e Linux (inaspettatamente basato su Chromium piuttosto che su Gecko ) e per dispositivi mobile Android ( apparentemente basato sul codice di Link Bubble) e iOS (basato su Firefox): è un browser inteso come software per accedere al web, ma agisce di fatto come un filtro per tutto ciò che è il business dell’advertising tradizionale , appropriandosi del controllo sugli spazi pubblicitari. “Blocca tutto”, spiega Eich, o quasi : verranno bloccati gli script del programmatic advertising, il tracciamento delle impression, il flusso di ritorno degli avvenuti click, nonché la maggior parte dei banner, senza possibilità di scampo per gli operatori della pubblicità online e per gli editori, così da non dare adito alle polemiche che si addensano sul business degli adblocker.

Al tempo stesso, Brave introduce un nuovo strato pubblicitario : per certi formati standard, basandosi su un sistema cloud che non sovraccarichi il dispositivo degli utenti, inserisce nuova pubblicità. In questo modo l’utente tornerà a fruire di poca pubblicità selezionata e rilevante, e per questo motivo di maggior valore. Pubblicità che, nel rispetto dell’impegno alla privacy con cui Brave si caratterizza, si baserà sui dati raccolti dal browser, cifrati e conservati in locale per ciascun utente, gestiti in maniera anonima e trasparente.

L’utente, dunque, potrà garantirsi tempi di caricamento ridotti fino a 4 volte rispetto a quelli dei browser concorrenti, grazie all’interruzione del caricamento dell’advertising e delle tecnologie di tracciamento a cui sono attribuibili rispettivamente il 60 per cento e il 20 per cento dei tempi di caricamento delle pagine web. Potrà poi confidare in una soluzione rispettosa della privacy , anche in virtù del codice open su cui Brave è basato. Inoltre all’utente sarà assicurata libertà di scelta : sia sul blocco o sulla visualizzazione dell’advertising originario, sia sull’advertising sostituito da Brave, che potrà altresì essere valutato sulla base dei propri interessi, così da affinare le proposte.

Il futuro, a dispetto delle premesse di Eich, tracotanti almeno quanto quelle degli operatori dei business che si sono stratificati con l’avvento degli adblocker, prevede anche il coinvolgimento passivo del mercato tradizionale dell’advertising , di coloro che finora hanno vissuto della pubblicità secondo il modello che si è affermato in Rete prima dell’avvento degli adblocker. Brave, nelle parole di Eich, è “una soluzione per scongiurare la guerra” che contrappone editori e adblocker e per consentire agli utenti di retribuire coloro che ritengano meritevole: l’ idea è quella di spartire le entrate garantite dal sistema di pubblicità alternativa , pagando i proprietari del siti il 55 per cento, i partner che gestiscono l’advertising il 15 per cento e conservando per sé il 15 per cento. Il restante 15 per cento dovrebbe finire negli account personali degli utenti sotto forma di Bitcoin, che potranno scegliere di impiegare per donazioni ai siti che ritengono degni di merito o per acquistare l’accesso a contenuti oltre paywall.

Per ora, pur contando su 2,5 milioni di finanziamenti, Brave non è che una versione 0.7, accessibile su richiesta. Nelle prospettive di Eich, il modello di Brave potrebbe svilupparsi con almeno 7 milioni di utenti, il minimo indispensabile a far drizzare le antenne alle ad agency, e raggiungere il pareggio di bilancio con 15 milioni di utenti. L’industria dell’advertising, prima di essere insidiata da Brave, potrebbe avere abbastanza tempo per dare dimostrazione concreta del proprio ravvedimento .

Gaia Bottà

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Pubblicato il
21 gen 2016
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