Contrappunti/ L'insostenibile leggerezza del web

Contrappunti/ L'insostenibile leggerezza del web

di M. Mantellini - Andiamo oltre la retorica tradizionale. Abbandoniamo la consuetudine dell'Auditel. Se vogliamo una TV diversa, occorre ancora costruirla: non riscaldare il brodo della vecchia
di M. Mantellini - Andiamo oltre la retorica tradizionale. Abbandoniamo la consuetudine dell'Auditel. Se vogliamo una TV diversa, occorre ancora costruirla: non riscaldare il brodo della vecchia

Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un nuovo interesse della televisione verso le rete Internet. Il tutto condito di numerosi aggettivi roboanti. Il critico televisivo per eccellenza, Aldo Grasso, per esempio, ha descritto l’esordio di MentanaCondicio , talk show politico condotto da Enrico Mentana traghettato sul web di corriere.it per sfuggire alle censure della par condicio, come “una data storica, che verrà ricordata nei libri di comunicazione”.

Un giudizio forse esagerato, visto che il programma in questione era un banale format giornalistico di quelli che vanno in onda sul web (anche sul sito di corriere.it) da qualche anno a questa parte. Ma il trionfo della retorica televisiva applicata alla rete è stato riservato da critici ed editorialisti a Raiperunanotte , versione alternativa di Annozero organizzata da Michele Santoro in accordo con la Federazione della Stampa ed il sindacato dei giornalisti al PalaDozza di Bologna: un programma in aperta contrapposizione con i diktat Rai, colpevole di aver allontanato i talk show politici dalla televisione pubblica nel mese precedente alle elezioni. Anche in questo caso abbiamo letto analisi ampie sulla grande novità della TV che diventa web, e parole come “rivoluzione” ed “evento web” hanno riempito le pagine dei quotidiani.

Raiperunanotte è stato un esperimento interessante. Interessante e riuscito, al di là delle cifre sulla sua diffusione che circolano in questi giorni. E le ragioni del suo interesse sono in primo luogo ambientali: nel giro di poche settimane è stato possibile allestire “un luogo” alternativo a quello usuale dal quale trasmettere un programma televisivo. È la presa di coscienza di un ecosistema che del resto esiste già da qualche anno, ma che è sempre stato considerato ininfluente nella logica verticale del mainstream. Così i milioni di telespettatori di Annozero , per una volta, hanno seguito il proprio programma preferito dentro nuove stanze. Fondamentalmente due: alcuni canali satellitari di nicchia o TV locali che hanno ritrasmesso l’evento, e attraverso uno streaming Internet localizzato in molti siti differenti (da RepubblicaTV a moltissimi blog).

Resta inteso che stiamo parlando di televisione, ci stiamo riferendo ad un formato riconosciuto, con attori noti che il pubblico identifica come abituali. Non è successo nient’altro. E allora cosa c’entra Internet con tutto questo?

Esiste una retorica spicciola, per altro molto utilizzata in questi giorni, secondo la quale la rete libera salva la TV in pericolo. Ne abbiamo sentito parlare molto. Non a caso il sottotitolo del talk show di Mentana è “Vietati in TV liberi sul web”, non a caso Michele Serra commentando il programma di Santoro dice “è quella fascia di pubblico, in larga parte giovane, che ritiene di non avere più rappresentanza televisiva. Il suo esilio, prima ancora che politico, è culturale: il linguaggio della tivù, in gran parte calibrato su un’idea corriva e classista dei gusti popolari , non gli appartiene da anni”. Serra confonde una audience usuale e televisiva con qualcosa che ancora di fatto non esiste se non nelle sue (e nelle nostre) aspirazioni. Il web che libera la TV è insomma un progetto ancora tutto da costruire.

Chi ha osservato Raiperunanotte conoscendo la Rete ha in genere punti di vista ugualmente positivi, anche se meno romantici e più informati rispetto a chi, come Grasso e Serra, esaurisce la propria visione del mondo dentro l’analisi degli old media . Per esempio Davide Bennato scrive “che in questa alleanza tra televisione e media digitali hanno vinto entrambi delineando un’ecologia dei media assolutamente interessante”; mentre Giovanni Boccia Artieri parla di “Un modo di fare televisione che ha saputo, insomma, sfruttare la dimensione dei pubblici connessi”. Personalmente sospetto qualche entusiasmo di troppo e vorrei sottolineare alcuni altri aspetti e qualche rischio.

Il primo traspare dalla apologia dei risultati che ha accompagnato e seguito la trasmissione. La logica dello share, l’unico criterio dominante in ambito broadcast è stato, quello sì per la prima volta, trascinato a forza in Rete. A tale proposito sarà utile ricordare che il “celolunghismo” da Auditel è uno dei peggiori figli della televisione mainstream e rappresenta, in ultima analisi, anche la causa della sua decadenza. Questo per almeno due importanti ragioni. La prima è che riducendo la comunicazione a mero scambio economico si allontana ogni afflato di libertà: una rapida occhiata ai palinsesti televisivi dei principali network potrà in tal senso essere d’aiuto. In secondo luogo, è forse antipatico sottolinearlo, ma le agitazioni democratiche che hanno portato a Raiperunanotte sono occasionali e in parte interessate, e non hanno dato grande segno di sé quando, per esempio, il cattivo amministratore dai pruriti censori solo qualche mese fa ha defenestrato senza ragione il bravo (e poco allineato) direttore di Rai3 Paolo Ruffini. Nessuno che abbia pensato ad un RaiperRuffini sul web fino a che il giochetto dei troppi interessi incrociati è rimasto in piedi.

Ma ancora più convincente è la constatazione che la logica dell’audience non può essere trascinata in Rete così com’è. II successo di Raiperunanotte , come è evidente, dipende solo in parte dal numero di spettatori che hanno seguito il programma in real time: una volta digerita dal web, la reputazione di quei contenuti è determinata da molte altre variabili. Dagli spezzoni su YouTube, alle citazioni ed alle conversazioni sui social network e ad una miriade di altri canali secondari dei quali è difficile tenere traccia. In altre parole, quando Santoro annuncia trionfante che al “più grande evento web della storia italiana” hanno partecipato tot migliaia di persone, racconta solo una parte marginale del tutto.

I rischi dicevo. I rischi e qualche speranza. I rischi sono modesti, per esempio una banalizzazione dell’idea di Rete che renda vano il traghettamento di una quota di pubblico televisivo verso nuovi strumenti. Esattamente come avviene con Facebook, la migrazione dei contenuti televisivi sul web apre una possibilità di svelamento tecnologico rivolta ad un numero ampio di soggetti capitati lì quasi per caso. Mentre gli esperti di Rete si titillano con idee formidabili ma di nicchia come il social zapping (vale a dire la tendenza sempre più diffusa di aprire conversazioni in tempo reale sulle reti sociali a margine di uno streaming TV) o l’analisi degli hashtag di Twitter (in occasione di Raiperunanotte Luca Alagna ha fatto un bel lavoro al riguardo) il tema davvero importante è capire se e come un numero ampio di cittadini può approdare a strumenti informativi migliori di quelli di cui attualmente dispone. Più ampi, meno ancorati ai tanti legacci della TV lottizzata o commerciale, in definitiva più liberi e personali.

Il punto è usare Santoro per andare oltre Santoro, uscendo dalla logica imperante del “più grande evento web della storia” o da quella altrettanto deprimente del giornalismo eroico che percorre i sentieri di montagna visto che l’autostrada è momentaneamente occupata. C’è tutta una nuova televisione da immaginare che non ha grandi punti di contatto con quella che conosciamo, una TV che, osservata da qua, vede già adesso fenomenali autostrade là dove altri continuano ad riconoscere solo impervi sentieri di montagna.

Massimo Mantellini
Manteblog

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Pubblicato il
29 mar 2010
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