E dopo il DNA di salmone scrivibile (WORM), ora arriva la notizia della sinterizzazione di un sistema di storage completo (scrivibile e riscrivibile) a base di materiale genetico di virus. Ci hanno lavorato i ricercatori della Stanford University, che non promettono “hard disk genetici” quanto piuttosto tecnologie capaci di funzionare con apparati biotecnologici.
Il DNA riscrivibile è stato ottenuto con la più “tradizionale” delle tecniche di bioingegnerizzazione cellulare, vale a dire legando assieme materiale genetico di un virus che infetta batteri e il DNA del virus dell’Escherichia coli.
Il risultato finale è una struttura di DNA dotata di sezioni che possono essere “tagliate” e “incollate” chimicamente, con un procedimento di scrittura/riscrittura che può essere ripetuto ancora e ancora – di certo almeno 16 volte, dicono i dati forniti dai ricercatori.
Il lato negativo del biotech della Stanford University è il tempo (e il lavoro) che ci è voluto per raggiungere il risultato: il DNA riscrivibile è stato sintetizzato dopo 3 anni di esperimenti e 750 diversi “design” genetici, fatto che i ricercatori paragonano alla scrittura di un codice di programmazione a sei linee raggiunta dopo 750 diversi tentativi di debug.
Vista la difficoltà della tecnica impiegata e del lavoro che è stato necessario a raggiungere il risultato, gli scienziati USA prevedono che il DNA riscrivibile potrebbe essere impiegato all’interno di sistemi biologici “sintetici” ma certamente non come “hard disk genetico”.
Alfonso Maruccia