Dossier/ TLC revolution 2: bolletta in pensione?

Dossier/ TLC revolution 2: bolletta in pensione?

di M. Favara Pedarsi - Indebitarsi per mantenere una costosa rete wired o spingersi oltre, verso il nuovo wireless dalle prestazioni eccezionali e dai costi infinitamente più contenuti? In ballo i diritti dei cittadini
di M. Favara Pedarsi - Indebitarsi per mantenere una costosa rete wired o spingersi oltre, verso il nuovo wireless dalle prestazioni eccezionali e dai costi infinitamente più contenuti? In ballo i diritti dei cittadini

Dopo la prima puntata del Dossier TLC di Punto Informatico in tre parti, dedicata al contesto globale, ora si affronta la questione essenziale: Telecom e reti infrastrutturali, separare o puntare sulle alternative?

Creare una struttura alternativa è meglio che separare l’unica esistente, perché dando vita ad una rete fisica indipendente:
(a) si crea concorrenza reale fin dal livello fisico indipendentemente da come vengano gestite,
(b) si aumenta il valore delle strutture di telecomunicazioni nazionali,
(c) si può evolvere il mercato delle TLC ad uno stadio ancora più evoluto di Open Communication , recuperando il ritardo accumulato nel tempo ed anzi, se il recupero è effettuato in modo innovativo, diventare la locomotiva delle TLC mondiali.

Negli anni ’80, gli USA scelsero la strada della separazione strutturale orizzontale vincolati dalla tecnologia e dai costi di allora; e credo che oggi molti vorrebbero ricorrere alla separazione strutturale perché non ci si è resi conto della possibilità di creare una rete alternativa molto economica e con un valore strutturale di gran lunga superiore a tutte le reti oggi esistenti (cfr. Legge di Reed ).

Fino ad oggi infatti costruire strutture di telecomunicazioni, così come le infrastrutture di trasporto e di distribuzione dell’energia, è sempre stato un sinonimo di “grande opera”, e quindi di grandi costi; nell’ottica di chi oggi suggerisce separazioni strutturali, questa idea ancora non è venuta meno, facendo accantonare a priori l’idea di poter costruire nuove infrastrutture per risolvere alla radice i problemi di liberalizzazione e, in ultima analisi, di digital divide.

Oggi però, grazie alle tecnologie wireless , non solo è possibile creare reti di telecomunicazione ad un sesto del costo delle reti cablate, ma è anche possibile fare a meno di buona parte delle porzioni infrastrutturali della rete, riducendone ulteriormente i costi; questo, conti alla mano, diventa una possibilità unica di sviluppo, da cogliere al volo.

Creazione strutturale
La tecnologia oggi permette la realizzazione di una nuova struttura sufficientemente economica, in un quadro, e ciò è fondamentale, di regole certe sull’uso dello spettro radio, in modo che tutte le parti ne possano trarre beneficio: cittadini-consumatori, istituzioni, aziende e sistema Italia.

La tendenza attuale (cfr. Wifi e WiMax), invece, è quella di assegnare le frequenze in base alle richieste delle sole aziende private di telecomunicazioni, tagliando di fatto fuori i cittadini-consumatori, che rimangono relegati a ruolo di meri utilizzatori passivi di servizi a pagamento. Così facendo, il costo di questi servizi potrebbe scendere un po’, ma sarebbe comunque subordinato alle logiche commerciali di entità che esistono, giustamente, per perseguire solamente il proprio fine sociale: migliorare il proprio bilancio, anche aggirando legalmente i lacci e lacciuoli imposti dal legislatore.

Il problema è che io, che vorrei usare lo spettro radio per scopi non profit (ricerca, hobby, collaborazione con i concittadini), o lo faccio illegalmente o rimango tagliato fuori; o ancora, la competizione nel mercato interno, senza una visione unitaria sugli effetti macroscopici verso l’esterno, ci fa perdere competitività internazionale.

Non è inoltre escluso che, come sta accadendo nel settore analogo delle reti televisive, gli stessi attori del mercato “fisso-cablato” potrebbero facilmente trasferire il loro peso nel nuovo mercato della connettività “fissa-wireless”, ritardando ulteriormente il salto di qualità delle TLC italiane. Lo testimonia il fatto che Telecom Italia, direttamente o indirettamente, controlla la quasi totalità degli hot-spot WiFi sul territorio.

Perché dunque non indurre la separazione strutturale verticale attraverso una creazione strutturale che coinvolga con profitto tutte le componenti della società?
Probabilmente è l’unico modo per evitare fenomeni parassitari di operatori su altri (piccoli operatori vs Telecom Italia), fenomeni di pericolosa commistione tra mercati adiacenti (es: Murdoch e Tronchetti Provera ), e in futuro una nuova paralisi del mercato. Il vero limite ad un uso profittevole ma equo dello spettro radio è la quantità esigua dello stesso.
Ad esempio, la banda radio assegnata al WiFi consente solo 3 canali radio non sovrapposti: se sulla stessa porzione di territorio ci fossero 3 aziende commerciali e un’associazione non profit a volerli sfruttare, sarebbe inevitabile per queste 4 entità calpestarsi i piedi a vicenda per poter utilizzare i 3 canali; e questi conflitti si ripeterebbero in ogni comune, in ogni quartiere, e periodicamente nel tempo. In realtà già accade, ma l’entità del fenomeno è ancora lontana da livelli critici di utilizzabilità della tecnologia: ci sono cioè i presupposti perché presto emergano le conseguenze.

Un limite invece prevedibile alle strategie di gestione delle frequenze WiMax di imminente impiego, è che dall’uso di queste frequenze verranno tagliati fuori i singoli cittadini e le associazioni non profit, o con un meccanismo di licenza individuale che comprensibilmente non preveda l’assegnazione a privati cittadini o con meccanismi di tassazione che escludano de facto i cittadini dall’uso delle frequenze, bene pubblico. Molti, da poco tornati dalle ferie, ricorderanno quanto è difficile in certe località trovare spiaggia libera senza dover pagare ombrelloni e sdraio al concessionario di turno.

Il progetto che ho presentato fornisce una soluzione armonica al problema di creare una nuova struttura (e quindi di liberalizzare alla radice il mercato TLC), rendendo trascurabili i costi di realizzazione, senza costruire infrastrutture statali che concorrono nel mercato, senza favorire tecnologie proprietarie di questo o quel produttore, e dulcis in fundo armonizzando l’uso dello spettro radio da parte di tutti gli attori, che ne trarrebbero equamente beneficio: privati cittadini-consumatori, operatori commerciali minori, Telecom Italia e gli altri operatori maggiori; in sintesi l’Italia tutta, non solo i cleptocrati , già grandi, più veloci ad appropriarsi delle risorse comuni.

Una forma di separazione strutturale verticale indotta tramite l’introduzione di una nuova rete alla base della piramide economica , piuttosto che una mera azione legislativa che moltiplica gli operatori senza moltiplicare le reti, e senza garantire a tutti l’accesso e lo sfruttamento delle risorse naturali comuni.

La bolletta, il digital divide, lo sviluppo
Il prospetto economico contenuto nel progetto evidenzia come, a fronte di una sostanziale riduzione dei costi annui per il singolo nucleo familiare medio composto da 2,5 individui (riduzione delle spese fisse per telefonia e dati, da 35 euro/mese a 3,5 euro/mese!), si avrebbero almeno 60 aziende (numero casualmente analogo alla quantità di operatori italiani), con fatturato pluri(deca)milionario, che da una parte si confronterebbero sul piano dell’aperta concorrenza, dall’altra collaborerebbero sul piano della tecnologia aperta, e tutte parteciperebbero nel progetto innovativo di dotare tutti i cittadini di un servizio universale di connettività dati, indipendente e trasparente.

Inoltre l’esistenza di un servizio universale con prestazioni entry level, proietterebbe i grandi operatori verso i servizi ad alte prestazioni (es: Alice 20 Mega) che solo i grandi operatori possono fornire grazie alle reti cablate che possiedono per eredità, o perché da anni stanno sforacchiando costantemente le strade italiane. A questi si potrebbero poi aggiungere gli operatori nati dalla verticalizzazione, che offrono servizi avanzati diventati implicitamente più accessibili, ad esempio: io, spendendo 3,5 euro/mese per la connettività base, sarei felice di darne due volte tanto per un abbonamento ad un jukebox online e non essere più tormentato dalle case discografiche, dai DRM e dal Trusted Computing .

Inoltre l’abbattimento dei costi di connettività permetterebbe di superare tutte le dimensioni del digital divide (assenza infrastrutturale, ignoranza e reddito insufficiente), aumentando i benefici economici a medio e lungo termine, invece di limitarsi al solo problema dell’assenza di infrastrutture sul territorio.

Infine, una rete universale per entrare per primi nella Società dell’Informazione ci potrebbe dare grandi vantaggi nell’ottica della competizione internazionale: essere i primi ad implementare una determinata tecnologia su larga scala dà diritto ad un nostro universitario di sedere nei comitati di standardizzazione in seno agli organismi internazionali; così come, la partenza anticipata, favorisce le nostre aziende sulle altre.

Da Trento a Catania esistono gruppi di ragazzi con grandi capacità, grandi idee, tanta voglia e le mani già “in pasta” ( Etica Hacker. L’imperativo è hands-on ), think-tank d’eccellenza: focalizzare le risorse per ricerca e sviluppo di un gran numero di aziende, su un solo progetto aperto a cui tutte le menti italiane possono contribuire, e da cui tutte le aziende possono attingere, porterebbe lo sviluppo di questa tecnologia ad una velocità difficile da raggiungere anche per i Paesi che spendono porzioni più ampie di PIL in R&D. Sono certo, perché le mie reti prototipali sono già in funzione da anni, che far convergere i diversi interessi delle molteplici componenti del sistema verso un progetto unitario di sfruttamento delle risorse è possibile, e può aumentare significativamente il profitto che ognuna delle componenti può trarne: welfare per i cittadini-consumatori, lucro per le società commerciali e competitività internazionale per il sistema paese.

Quello che oggi manca è che tutte queste componenti convergano verso questo piano unitario: lo Stato creando un centro di gravità a garanzia dei risultati, e le aziende ruotando intorno a questo centro gravitazionale. Un sistema di produzione di benessere in perfetto equilibrio collaborazione-competizione, immerso cioè nello spazio della libertà di comunicare e di fare impresa, dove le aziende sono da una parte attratte verso il centro per collaborare tecnologicamente, il benessere sociale/competitività internazionale, e dall’altra respinte dalla competizione necessaria in tutti i settori economici.

Credo sia fondamentale infatti, se vogliamo veramente rilanciare il settore, che tutti cessino di alimentare il partito dei Nimby per abbracciare il più lungimirante partito del benessere generale, benessere inteso come strumento per soddisfare gli interessi individuali: io ho iniziato ab imo pectore, dopo la lettura del programma elettorale dell’attuale governo, portando alla luce del sole il mio progetto inizialmente pensato per una sofisticata forma di protesta civile tesa all’eliminazione tecnologica degli operatori commerciali, ora tocca a voi tutti (amministratori, operatori e cooperative) convergere.

L’alternativa è che vi accalchiate per spartirvi la torta WiMax, consumando enormi quantità di risorse in una guerra intestina disarmonica, mentre lasciate che i cittadini smettano di essere consumatori e inizino a fare da sé quello che oggi pagano agli operatori, penalizzando in definitiva il sistema Italia.

E poi, per lo meno per noi informatici italiani, sarebbe bello poter un giorno vantare, oltre alla conquista di 4 coppe del mondo di calcio, anche il primato di aver per primi costituzionalizzato il Diritto alla Comunicazione come naturale evoluzione del diritto di espressione. Ma questa è una storia che, se voluta, viene comunque dopo la creazione del servizio dati universale.

La terza ed ultima puntata del dossier sarà appunto dedicata ad uno dei modi possibili per creare questo servizio dati universale entry-level.

Michele Favara Pedarsi

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Pubblicato il
18 set 2006
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