Facebook, diffamazione grave a metà

Facebook, diffamazione grave a metà

Confermata l'aggravante costituita dal pubblico potenziale, ma l'utilizzo del social network non può essere accomunato alla diffamazione a mezzo stampa
Confermata l'aggravante costituita dal pubblico potenziale, ma l'utilizzo del social network non può essere accomunato alla diffamazione a mezzo stampa

La diffamazione se perpetrata a mezzo Facebook può essere ritenuta diffamazione aggravata, ma ad essa non si applica la legge speciale sulla stampa che commina per tale ipotesi pene massimali più estese.

A fare chiarezza sulla distinzione tra stampa e mezzi utilizzati per la diffusione di messaggi online e social network in particolare, è la sentenza 4873/17 della Quinta sezione della Corte di Cassazione nel caso che vede un soggetto accusato di aver pubblicato sul proprio profilo Facebook un testo con il quale offendeva la reputazione di un secondo individuo, attribuendogli un fatto determinato e che aveva visto in primo grado l’accusato condannato alla pena massima prevista per il reato di diffamazione dalla legge sulla stampa.

Secondo il giudice di primo grado, dal momento che il messaggio al centro della condotta incriminata costituisce un fatto determinato, il reato doveva essere inquadrato come delitto di diffamazione consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3 del codice penale e, data la diffusione tramite Facebook ad un pubblico potenzialmente indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, questo fosse commesso a mezzo stampa.
Tale inquadramento avrebbe spinto il giudice a prendere in considerazione la pena massima, la reclusione fino a sei anni, così come prescritta dalla normativa sulla Stampa, Legge 8 febbraio 1948, n. 47.

La condanna a tre anni per l’autore del post era stata giudicata dal Procuratore di Imperia un provvedimento abnorme che “in quanto tale si pone al di fuori del sistema organico della legge processuale”. Contro tale decisione era stato presentato ricorso portando la Cassazione ad esprimersi sulla vicenda: questa ha innanzitutto respinto l’ipotesi di sentenza abnorme, per poi entrare nel merito della vicenda confermando, in linea con la giurisprudenza che si sta consolidando sulla questione, che l’uso di una bacheca Facebook per la giurisprudenza italiana integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, codice penale, poiché questa modalità di comunicazione ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone .

La Cassazione ha tuttavia poi chiarito che proprio il fatto che tale “numero indeterminato” di pubblico potenziale sia legato alle possibilità di accesso e condivisione da parte dei contatti che l’utente ha sulla piattaforma, rimandando alla caratteristica intrinseca dei social network, ovvero quello della socializzazione: pertanto occorre considerare “l’inclusione della pubblicazione del messaggio diffamatorio sulla bacheca Facebook nella tipologia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità , che, ai fini della tipizzazione della circostanza aggravante di cui all’art. 595, comma 3, cod. pen., è giustapposto a quella del mezzo stampa”.

Claudio Tamburrino

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Pubblicato il
7 feb 2017
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