Hackmeeting08, il caos e la potenza

Hackmeeting08, il caos e la potenza

di Arturo Di Corinto - Dal 26 al 28 settembre in Sicilia l'hackmeeting italiano. A dispetto di chi li vuole criminali informatici, gli hacker continuano a essere i virtuosi delle relazioni umane mediate dal computer
di Arturo Di Corinto - Dal 26 al 28 settembre in Sicilia l'hackmeeting italiano. A dispetto di chi li vuole criminali informatici, gli hacker continuano a essere i virtuosi delle relazioni umane mediate dal computer

Ma gli hacker sono eroi o criminali? Per saperlo basterà conoscerli da vicino, a Palermo, dove dal 26 al 28 settembre terranno il loro incontro annuale, l’ Hackmeeting 2008 . In un luogo rigorosamente autogestito, l’ ask 191 , si terranno tre giorni di dibattiti, feste, musica, autoformazione, all’insegna dello slogan “l’informazione vuole essere libera”. Molti i seminari, settecento le persone che partecipano alla sua organizzazione via e-mail e un tema unificante: l’arte della programmazione e la critica alla società della sorveglianza e dei consumi.

Era il 1998 e le controculture italiane cercavano ancora le parole per nominare le forme della socialità e della ribellione digitale. Controinformazione, telematica sovversiva, media tattici, software libero, no-copyright, crittografia, hacker, hacktivism. Da una discussione all’interno di Isole nella Rete germoglia la proposta di fare incontrare in Italia, a Firenze, tutti gli hacker della penisola, e nasce il primo hackmeeting italiano. A Firenze, ospitati dal Centro Popolare Autogestito di Firenze Sud, tre giorni di seminari, sperimentazioni, incontri, con la galassia Internet europea. Adesso si replica a Palermo, per l’undicesima volta. Stessa formula, stesso spirito.

A dispetto della vulgata giornalistica che li vuole criminali informatici, gli hacker, oggi come prima, continuano a essere i virtuosi delle relazioni umane mediate dal computer: ingegneri, programmatori, mediattivisti, ambientalisti, femministe e pacifisti No-Logo muniti di Pc e antenne portatili che costruiscono insieme i mondi dove vivere liberi. In una logica di scambio e condivisione.

Ancora oggi l’hacker è quello che crea l’innovazione dove nessuno la racconta, nei centri sociali, nei seminterrati scolastici, in garage solitari. Più spesso nel cyberspace. Raramente in seno a qualche compagnia, talvolta nelle università dove hanno trovato rifugio dopo le persecuzioni giudiziarie e la bolla della new economy.

Ancora oggi l’hacker è colui che smuove i confini della conoscenza e sfida le coscienze, per un mondo dove la comunicazione e le sue risorse non siano monopolio delle multinazionali.
Così dopo i giri di vite della magistratura, i rapporti sballati dei servizi segreti, la cooptazione dentro le telco, le major e l’editoria, si ritrovano a Palermo a rivendicare la loro diversità e a diffondere pratiche di liberazione – mesh networks, free software e media indipendenti – che hanno fatto grande un movimento che, in quanto tale, è sempre fenomeno carsico e che solo in rare occasioni torna visibile.

foto di Arturo Di Corinto

Una moltitudine di sognatori cyberpunk, con “i piedi nella strada e la testa nella tecnologia” che, infrantosi il sogno di una comunicazione libera e totale, ma anche di facili guadagni e repubbliche anarchiche postcapitaliste, sembra essersi ripiegata su se stessa, dispersa dopo la batosta della new economy e l’affermazione planetaria di giganti commerciali come Google, Amazon, eBay, tanto da apparire sconfitta a confronto con il modello pervasivo dei network sociali rappresentato da Youtube, Flickr, Myspace. Ma pensare che si tratti di una cultura isolata e minoritaria è un errore di percezione.
Primo perché le innovazioni che hanno portato geek e nerd occhialuti a fare soldi, e tanti, con applicazioni di publishing online basate sul modello “gratuità più pubblicità”, il web 2.0, sono figlie della cultura hacker della comunicazione senza frontiere, del software libero e della difesa del free speech; secondo: solo applicando i principi della cooperazione e del decentramento, tipici della cultura hacker, è stato possibile immaginare gli odierni network sociali; terzo perché solo col codice aperto e modificabile scritto dagli hacker è stato possibile offrire nuovi servizi di collaborazione online gratuiti; ultimo, perché sono gli stessi hacker che animano e popolano questi reticoli digitali, durante o dopo la giornata lavorativa che raramente coincide con la produzione massiccia e gratuita di cultura che costantemente praticano. Un esempio di come la cultura hacker abbia influenzato la cultura della libera comunicazione è Wikipedia, oggi uno dei 10 siti più popolari al mondo, disponibile in quasi 250 lingue, con 10 milioni di voci (488.477 delle quali in italiano) scritte da oltre un milione di utenti. Wikipedia è basata su free software e i suoi contenuti sono liberi e modificabili.

In realtà gli hacker col loro potenziale conflittuale sono come un virus benevolo che si è infiltrato nella società, portando idee, proposte e soluzioni ai problemi della società dell’informazione. L’hanno penetrata tanto a fondo e con essa vivono in maniera così simbiotica che ormai non se ne accorge più nessuno.
Tranne quando ne svelano le contraddizioni e criticano la mercificazione delle relazioni umane via computer, come le biografie personali che diventano veicoli di marketing virale; quando attaccano la retorica del web 2.0 denunciando lo sfruttamento del prosumer che crea valore per le imprese senza essere pagato; quando denunciano la censura e i tentativi di mettere recinti intorno al bene comune della conoscenza come nel caso della chiusura della Baia Pirata. A Palermo si parlerà anche di questo, insieme agli argomenti tradizionali del meeting annuale: la difesa della privacy, i network autogestiti, il codice libero, il trashware, la sicurezza in rete, le libertà digitali. Già pronti al prossimo salto di paradigma: il web 3.0, quello semantico.

Hacker
La parola viene dal verbo “To hack”, che vuol dire zappare, tagliare, spezzare, sminuzzare, aprirsi un varco. Gli hacker sono quelli che aprono sentieri fra le righe dei codici informatici per renderli più efficienti e ottimizzare il lavoro delle macchine, risparmiando tempo e fatica agli operatori umani. Hacker è il nerd, il secchione, quello che sta chino sui libri che, come lo zappatore, curvo sul suo lavoro, è apparentemente indifferente a tutto il resto. È un geek, un geco, attaccato con le ventose allo schermo del suo computer. Ci sono hacker etici e hacker non etici. Quelli che sfruttano la loro bravura con Pc, telefoni e reti informatiche per guadagnarci, e quelli che mettono le proprie competenze al servizio della comunità, senza danneggiare alcuno ma solo per costruire strade e indicare nuovi orizzonti. Gli hacker vengono pure classificati in white hats, gray hats, black hats, e poi ci sono i lamer e gli script kiddies, ma il nome per chi viola sistemi informatici e danneggia le reti di comunicazione è uno solo: cracker. E non è detto che non abbia un’etica. I più famosi? Capitan Crunch, Richard Stallman, Dimitri Sklyarov. Ma i più sono sconosciuti.

Arturo Di Corinto
ArDiCor, il blog

nota
A.D.C., psicologo cognitivo, docente universitario di comunicazione mediata dal computer, giornalista e saggista, autore di Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete , documentarista, presiede la Free Harware Foundation Rome , ha fondato la Telematics Freedom Foundation ed è consulente del programma operativo Società dell’Informazione presso il CNIPA.

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
25 set 2008
Link copiato negli appunti