Il Giappone scheda le impronte degli stranieri

Il Giappone scheda le impronte degli stranieri

Da oggi è in vigore la nuova misura anti-terrorismo. Strumenti di rilevazione delle impronte digitali che sono discriminatori e sostanzialmente inutili, avvertono le ONG, e che anzi potrebbero alimentare la xenofobia
Da oggi è in vigore la nuova misura anti-terrorismo. Strumenti di rilevazione delle impronte digitali che sono discriminatori e sostanzialmente inutili, avvertono le ONG, e che anzi potrebbero alimentare la xenofobia

Si prepari a sporcarsi le dita chi voglia fare una capatina nel paese del Sol Levante: da oggi, a tutti gli stranieri e ai visitatori di passaggio in Giappone, verranno prelevati dati biometrici e scattate fotografie segnaletiche, per difendere il paese da potenziali attacchi di terroristi stranieri. Sebbene, a ben guardare, siano stati finora condotti esclusivamente da giapponesi. Il governo vuol dare del Giappone una immagine di meta ideale per il turismo , in un’epoca in cui le sanguinose azioni estremiste non risparmiano nessun angolo del mondo.

“Questa politica contribuirà grandemente a prevenire le attività di terroristi internazionali sul nostro territorio”, aveva spiegato l’ufficiale dell’Ufficio Immigrazione, Naoto Nikai, durante la presentazione del nuovo sistema. Approvata in via definitiva nel maggio del 2006, la misura prevede la registrazione permanente dei parametri biometrici delle impronte digitali a chiunque sia nato al di fuori del Giappone e abbia più di 16 anni di età.

L’archivio di impronte e foto sarà a disposizione delle forze di polizia locali e internazionali, e apparentemente non ha una scadenza prefissata: basterà un viaggio di pochi giorni per finire catalogati, vita natural durante, dalle autorità asiatiche. Il consenso alla schedatura è obbligatorio , e per chi non fosse d’accordo è previsto il rimpatrio immediato nel paese di provenienza. Uniche eccezioni previste sono quelle per gli ospiti di stato, i diplomatici e una parte degli stranieri residenti da tempo in Giappone.

L’archivio risultante dall’attività di schedatura verrà poi adoperato per indagini su fatti criminosi sia nazionali che internazionali, con un accento particolare per gli attentati terroristici con obiettivo il Sol Levante. Il paese si sente minacciato in virtù della sua presenza in Iraq al fianco degli Stati Uniti ma sta di fatto che, almeno fino ad ora, non si è registrato alcun attentato ad opera di stranieri sul suolo giapponese.

Ci sono stati, al contrario, “una gran quantità di attacchi da parte di terroristi giapponesi”, fa sapere l’uomo d’affari Terrie Lloyd, che ha la doppia cittadinanza australiano-neozelandese e risiede in Giappone da 24 anni. Attualmente nel paese sono presenti più di due milioni di stranieri ufficialmente registrati dalle autorità, il 40% dei quali classificati come residenti permanenti.

Il controllo all’entrata nel paese non è ad ogni modo una novità: dopo gli attacchi dell’11 Settembre, gli Stati Uniti hanno adottato una politica simile, ma l’iniziativa giapponese prevede la ri-schedatura anche per chi fosse già stato registrato nel database in una precedente occasione. Una misura che “sicuramente farà provare alle persone che sono state qui per 30 o 40 anni l’impressione di non essere più degli esseri umani”, sostiene Lloyd.

Gli fa eco l’ufficio locale di Amnesty International , che per bocca di Sonoko Kawakami sottolinea che “obbligare solo gli stranieri a fornire questi dati è discriminatorio”. In tal modo il governo propaganda l’equazione “terroristi uguale stranieri”, una politica di esclusione che “potrebbe incoraggiare la xenofobia”.

La nuova policy sarà poi problematica anche dal punto di vista prettamente logistico: nel solo 2006 il Giappone è stato visitato da 6,7 milioni di stranieri, e già gli agenti preposti al controllo dei turisti in entrata avvertono la necessità di sottoporsi a file dalla lunghezza non prevedibile per ottemperare alle norme.

Vi è poi un precedente eccellente : in Giappone la schedatura delle impronte degli stranieri è già stata usata almeno fino al 2000, quando il gran clamore suscitato dalla misura e dalle sue pesanti conseguenze sulla privacy delle persone ha fatto sì che l’obbligo venisse abolito.

Alfonso Maruccia

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
20 nov 2007
Link copiato negli appunti