iPhone 4G, ormai è Gizmodogate

iPhone 4G, ormai è Gizmodogate

Pubblicata la deposizione giurata del detective Broad: a tradire il ladro di prototipi sarebbe stata la sua coinquilina. Mentre Gizmodo voleva una conferma ufficiale d'autenticità da parte di Apple, che invece temeva danni economici
Pubblicata la deposizione giurata del detective Broad: a tradire il ladro di prototipi sarebbe stata la sua coinquilina. Mentre Gizmodo voleva una conferma ufficiale d'autenticità da parte di Apple, che invece temeva danni economici

È passata ormai più di una settimana da quando il giudice della contea di San Mateo Stephen Hall aveva rifiutato una richiesta ufficiale presentata da testate del calibro di Los Angeles Times , Associated Press e Bloomberg . Ed era così calato il buio sulle indagini in quello che ormai ha preso le sembianze di un romanzesco legal thriller, che si chiami iPhonegate o Gizmodogate .

La vasta coalizione dei media, tra cui la California Newspaper Publishers Association (CNPA), si era infatti arresa davanti all’ultima parola del giudice Hall: non era quello il momento di conoscere le ragioni ufficiali che avevano portato alla perquisizione dell’abitazione di Jason Chen, l’editor di Gizmodo coinvolto nell’intricata vicenda. Insomma un buco, che poteva essere riempito solo dalle motiviazioni alla base del mandato .

Ma, alla fine, la deposizione giurata del detective Matthew Broad è stata resa nota, pubblicata – anche online – perché ritenuta dal giudice Hall non più pericolosa ai fini del regolare svolgimento delle indagini. Un documento di poche pagine, che ha ricostruito nel dettaglio una vicenda partita con lo smarrimento/furto di un prototipo di iPhone 4G in un pub tedesco di Redwood City .

Era stato – come d’altronde già noto – il 21enne Brian J. Hogan a prendere in consegna il prezioso device della Mela, per poi provare a “venderlo” a riviste del settore come Engadget , Wired e Gizmodo . Quest’ultima aveva accettato di pagare la somma di 5mila dollari , metà di quanto richiesto inizialmente dallo stesso Hogan. Il ragazzo avrebbe poi mostrato il frutto della transazione a Katherine Martinson, sua coinquilina.

Ma sulla cifra ottenuta da Hogan c’è un lieve alone di mistero: sarebbero infatti 8.500 i dollari da lui mostrati alla coinquilina , in parte provenienti da un’altra fonte rimasta anonima. Stando a quanto stabilisce il documento pubblicato , Gizmodo avrebbe offerto al ragazzo un bonus qualora Apple avesse presentato ufficialmente la nuova generazione del suo popolare smartphone, e naturalmente il prodotto presentato avesse coinciso con quello da lui scovato.

E Hogan non sembra aver mostrato particolare sensibilità nei confronti di Gray Powell, l’ingegnere di Apple che aveva perso il prototipo dopo una sonora sbronza a base di birra tedesca. Il 21enne avrebbe detto alla sua co-inquilina : “Peggio per lui. Ha perso il suo telefonino. Non avrebbe dovuto perdere il suo telefonino”. Parole che suonano ciniche, che devono probabilmente aver maldisposto Katherine Martinson stessa.

Nel frattempo le prime fotografie apparivano online sul sito di Gizmodo . Scatenando l’ovvia reazione di stizza da parte del CEO della Mela, Steve Jobs. Secondo la deposizione giurata del detective Broad, Jobs avrebbe scritto al direttore di Gizmodo Brian Lam , chiedendogli di restituire il prototipo di iPhone 4G .

Lam avrebbe innanzitutto sottolineato come fosse per lui impossibile restituire l’oggetto senza una conferma d’autenticità da parte di Apple . Il responsabile legale della Mela Bruce Sewell avrebbe quindi dovuto scrivere una lettera – da pubblicare su Gizmodo – in cui venisse confermato il device da riscattare.

Ma Apple era andata a denunciare tutto alla polizia, puntando il dito sul furto di un prototipo coperto dal segreto industriale, che avrebbe provocato danni significativi all’azienda di Cupertino. Nel frattempo la coinquilina di Hogan, Katherine Martinson, stava per ritagliarsi un ruolo chiave nell’intera vicenda, dal momento che lo stesso Hogan aveva collegato l’iPhone 4G al suo computer, ma soprattutto perché si ritrovava a condividere il suo stesso indirizzo IP . La donna era inquieta , temendo in particolare di essere accusabile di complicità in quello che vedeva come un caso poco chiaro a sfondo criminoso. Avrebbe quindi contattato i legali della Mela per avvisarli che il suo coinquilino fosse stato in possesso di un iPhone 4G, poi venduto a Gizmodo . E non finisce qui.

Sempre stando al documento, Hogan e il suo terzo compagno di casa, Thomas Warner, avrebbero provato a far sparire alcune prove cruciali . Infatti – dopo l’arresto del reo confesso Warner – la polizia locale avrebbe trovato alcune schede di memoria precedentemente gettate tra i cespugli. E un’etichetta con il codice seriale del device in una stazione di servizio a Redwood City.

Ricostruendo il caso , il giudice Hall aveva dunque autorizzato la perquisizione nell’abitazione di Jason Chen, dal momento che quest’ultimo si sarebbe impossessato di un oggetto rubato. E non solo: secondo la denuncia Chen avrebbe trafugato alcuni segreti industriali , oltre che distrutto un oggetto dal valore superiore ai 400 dollari. Il prototipo di iPhone 4G era stato infatti smantellato da Gizmodo , e giudicato danneggiato in quattro particolari.

Viste da questa prospettiva, le azioni di Gizmodo non sarebbero tutelabili né dal Privacy Protection Act né dal suo equivalente californiano, la Shield Protection Law . La stessa Electronic Frontier Foundation (EFF) si era infatti appellata alla sostanziale inviolabilità degli strumenti di news gathering di giornalisti e reporter. Ma Apple l’ha messa sul piano del furto, dei segreti industriali, della distruzione di uno smartphone di culto. Arrivando, pare, a sostenere che la notizia dell’esistenza di un prototipo di quarta generazione del Melafonino avrebbe potuto causa un danno “non calcolabile” alle casse di Cupertino: i consumatori intenzionati a comprare un 3GS, il modello attualmente in commercio, venuti a conoscenza dell’imminente nuova uscita avrebbero potuto posticipare a data da destinarsi l’eventuale acquisto.

Mauro Vecchio

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Pubblicato il
17 mag 2010
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