La terza era del computing è ubiqua

La terza era del computing è ubiqua

La presenza pervasiva dei dispositivi elettronici apre le porte a nuove modalità di interazione con le macchine. Uno scenario che divora un pezzetto di privacy ma, forse, può lasciare una parte del controllo agli uomini
La presenza pervasiva dei dispositivi elettronici apre le porte a nuove modalità di interazione con le macchine. Uno scenario che divora un pezzetto di privacy ma, forse, può lasciare una parte del controllo agli uomini

Ubiquitous computing , tecnologie avveniristiche, visioni e rischi concreti alla privacy di utenti e cittadini sono stati i soggetti della quinta conferenza annuale in tema di Pervasive Computing , tenutasi di recente a Toronto, in Canada. Il meeting ha chiamato a raccolta più di 250 tra ricercatori, scienziati, accademici, inventori e futuristi, che hanno discusso, presentato e rappresentato scenari, ritrovati e soluzioni tecnologiche sempre meno “futuristiche” e sempre più attuali.

Il concetto di pervasive computing nasce dalla fusione compiuta tra uomo e macchine intelligenti, matrimonio provocato dalla cosiddetta terza onda del computing , riporta il National Post canadese . Il computer è passato velocemente dalla prima onda, quella dei mainframe e dei calcolatori che necessitavano di interi stanzoni ad essi completamente dedicati, a quella del personal propriamente detto, stipato nei familiari scatolotti dei PC desktop o anche nei ben più portabili laptop. Inclusa nella seconda onda è stata anche la prima trasformazione del computer da macchina che richiede l’adattamento dell’utente alla innumerevole schiera di dispositivi che, al contrario, si adattano al loro padrone: cellulari, palmari e apparecchiature microintelligenti, sempre più micro e sempre più intelligenti.

Ma la prossima evoluzione renderà questi apparati ancora più impercettibili, e li fonderà con ogni aspetto della vita privata, del lavoro e del tempo libero. La terza onda sarà appunto caratterizzata dalla presenza per ogni dove e in ogni oggetto di microchip, sensori, trasmettitori e schermi OLED che ci circonderanno in ogni istante e faranno parte dell’arredamento così come degli oggetti tradizionali della casa, dell’ufficio, del centro commerciale.

“Il Pervasive computing nasce dall’idea di una tecnologia progettata in modo da essere letteralmente dappertutto”, ha dichiarato alla conferenza Khai Truong, professore di scienza informatica all’Università di Toronto. Qualunque cosa può essere un computer, fintanto che può essere adoperata per uno scopo dall’utente, dice il professore. Mark Weiser, tecnologo della Xerox che ha coniato la definizione di pervasive o ubiquitous computing, descrive così il fenomeno: “Le tecnologie essenziali sono quelle che spariscono. Diventano parte fondamentale della vita di tutti i giorni fino a divenire indistinguibili”.

Oltre ai discorsi e alle spiegazioni di concetto, a Toronto si sono viste poi le applicazioni attualmente più interessanti della terza onda del matrimonio tra uomo e macchina. Jorg Muller, dell’Università di Munster, ha condotto una dimostrazione della pubblicità basata sulla cosiddetta segnaletica digitale : uno schermo è in grado di trasmettere uno spot sempre diverso, a seconda dell’ora del giorno ma anche della persona che in quel momento vi passa davanti.

Chi fosse interessato al prodotto pubblicizzato, spiega il relatore, potrebbe catturare una immagine del suddetto con la sua fotocamera digitale portatile (o con il cellulare dotato di cam) e “spendere” la foto come coupon al negozio. “Presto saranno dappertutto”, ha dichiarato Muller riguardo questo nuovo advertising ubiquo che è considerato una delle killer application del pervasive computing, con un mercato stimato in 3,7 miliardi di dollari nel 2011.

Poi ancora maggiordomi virtuali, etichette elettroniche da applicare ai propri gatti per controllarli quando non si è in casa e le “raccomandazioni librarie dinamiche” provenienti dal Giappone, con la possibilità di ricevere le recensioni dei lettori e i titoli simili sul cellulare semplicemente prendendo un volume dallo scaffale. In Germania stanno pensando persino ad una cucina intelligente , in cui il coltello sarà in grado di riconoscere il tipo di vegetale affettato e i sensori individueranno gli utensili in uso per preparare il pranzo.

La prospettiva di avere a che fare in ogni momento con chip RFID e sensori di controllo, avvisa Adam Greenfield, autore del libro Everyware: The Dawning Age of Ubiquitous Computing , paventa il rischio concreto di “conseguenze che sono tutto fuorché piacevoli”, non previste da chi ha in origine sviluppato i dispositivi e i network ubiqui. Una tecnologia che favorisce, secondo Greenfield, lo svilupparsi di “comportamenti imprevedibili ed indesiderabili”.

Per scongiurare i rischi del pervasive computing, l’esperto suggerisce alcune linee guida da seguire per imbastire opportune contromisure preventive: esso deve essere progettato come innocuo, deve auto-identificarsi agli occhi dell’utente, deve rispettare i tratti architettonici e l’aspetto esteriore delle strutture in cui è inglobato e deve soprattutto essere predisposto per il rifiuto e la disattivazione del controllo da parte dell’utilizzatore .

In caso contrario, sostiene Greenfield, la tecnologia si rivelerà un pericolo più che una nuova opportunità per tutti. Ed è una questione più attuale di quanto si possa credere: “È più di una possibilità – dice Greenfield – Credo che sia già un problema”.

Ed è forse una considerazione veritiera se si considera che già il security guru Bruce Schneier ha messo in guardia dalla frammentaria ma costante pervasività delle tecnologie di controllo – tali da far sembrare il “Grande Fratello” di Orwell una visione superata – e che c’è chi come il produttore Chase Corporation annuncia lo sviluppo di una sorta di scudo anti-intrusione per tutti gli oggetti contenenti al loro interno sensori RFID.

Facente parte della linea di prodotto Paper Tyger, il materiale viene definito come “facilmente stampabile”, e ideale per proteggere le informazioni personali contenute su carte di credito, smart card e quant’altro possa essere portato addosso o dentro il portafogli. Il prodotto, della cui commercializzazione non si sa ancora nulla, può essere integrato in contenitori di carta e involucri, e dovrebbe garantire che le preziose informazioni registrate sui microchip personali non vengano inavvertitamente comunicate a sensori impiccioni in ascolto nell’ambiente .

Alfonso Maruccia

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Pubblicato il
6 giu 2007
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