Moore salvato dal plasmone

Moore salvato dal plasmone

Non è un biscotto e neppure un biscottone. È semplicemente un nuovo modo di fotolitografare il silicio. Permetterà di arrivare a dimensioni infinitesimali e di tenere in vita ancora per qualche anno i microprocessori attuali
Non è un biscotto e neppure un biscottone. È semplicemente un nuovo modo di fotolitografare il silicio. Permetterà di arrivare a dimensioni infinitesimali e di tenere in vita ancora per qualche anno i microprocessori attuali

La legge di Moore è agli sgoccioli , il buon vecchio Gordon sta per scontrarsi coi limiti della miniaturizzazione e della tecnologia. Ma, come da tradizione, ecco arrivare la scoperta che non ti immagini, che non hai previsto, che rivoluziona il quadro: i 32 nanometri non saranno il termine ultimo per i microprocessori a transistor, per loro si prospetta un futuro ben al di sotto di questo limite. Forse persino al di sotto dei 10 nanometri .

La super-lente di plasmoni Il problema, oltre che fisico, è pratico: sotto un certo valore le attuali lenti ottiche , che consentono di focalizzare i laser che incidono tanti bei chip sui wafer di silicio, vanno in crisi. Un tempo si stimava che il limite massimo raggiungibile fosse addirittura superiore ai livelli raggiunti attualmente, ma in ogni caso – complice il restringersi delle giunzioni e la diminuzione degli elettroni utili, e la maggiore incidenza delle imprecisioni nel funzionamento – la tecnologia corrente era ed è in ogni caso agli sgoccioli .

Per fortuna il professor David Bogy e il suo collega Xiang Zhang dell’inesauribile Università di Berkeley hanno fatto segnare un passo avanti importante nella loro ricerca sulle super-lenti a plasmoni : un reticolo di elettroni viene fatto vibrare a lunghezze d’onda infinitesimali, trasformandosi in una sorta di lente ottica in grado di concentrare fasci di luce di lunghezza d’onda superiore e trasformarli in raggi super-precisi capaci di incidere miniaturizzazioni estreme.

In realtà la faccenda si fa ancora più complicata. Per sfruttare al meglio questa tecnica, è necessario che il wafer di silicio ruoti sul suo asse ad una velocità considerevole, con modalità molto simili a quelle riscontrabili in un comune hard disk magnetico. Il wafer è il disco dove vengono immagazzinati i dati, c’è una testina che gira a pochi nanometri di altezza dalla superficie che porta in dote la super-lente plasmonica che concentra il flusso di luce ultravioletta che piove dall’alto. Il paragone utilizzato è quello di un Boeing 747 che voli a tutta velocità a soli 2 millimetri dal suolo.

Per il momento gli esperimenti condotti nei laboratori californiani sono arrivati ad ottenere miniaturizzazioni dell’ordine di 80 nanometri . Niente di eccezionale, considerando che l’industria si avvia spedita verso i 32 transitando per i 45. Zhang e Bogy, però, si dicono sicuri che molto presto il loro processo si affinerà a tal punto da garantire precisioni nell’ordine dei 5-10 nanometri : inoltre, sarebbe possibile inglobare diverse migliaia di super-lenti in un’unica struttura, aumentando drasticamente la capacità produttiva di una singola testina e ampliando le applicazioni pratiche della scoperta.

Il risultato sarebbero dispositivi a semiconduttore 10 volte più piccoli degli attuali, con tutti i vantaggi derivanti in termini di spazio occupato sul silicio e potenzialità di elaborazione. Oppure dispositivi di immagazzinamento dati con capienze astronomiche, con tera e tera di byte in dischi ottici simili agli attuali prodotti a laser blu, e prodotti con costi molto inferiori risparmiando sui macchinari: niente più lenti e specchi costosi per convogliare e concentrare i fasci di luce. Con le lenti a plasmoni, si diventa piccoli.

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Pubblicato il
29 ott 2008
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