Musica, web e battaglie legali

Musica, web e battaglie legali

di Giovanni Ziccardi - Prima e dopo il Gray Tuesday: ecco lo scenario in cui si è inserita una particolarissima e chiacchieratissima iniziativa che sfida diritti d'autore e copyright nell'era digitale. Rivendicando nuove possibilità
di Giovanni Ziccardi - Prima e dopo il Gray Tuesday: ecco lo scenario in cui si è inserita una particolarissima e chiacchieratissima iniziativa che sfida diritti d'autore e copyright nell'era digitale. Rivendicando nuove possibilità


Roma – Da un lato c’è chi pensa, ogni giorno, a nuovi modi per far sì che tecnologia, sviluppo della cultura musicale, diritti degli autori e circolazione delle idee possano andare d’amore e d’accordo. Dall’altro lato c’è chi fa la voce grossa, reclama la galera, intenta cause su cause.

Sembra impossibile che non si possa trovare una via di mezzo, e rasserenare un po’ gli animi, eppure, guardando le vicende di questi giorni che coinvolgono la musica, il quadro è piuttosto grigio.

Già nel 1999 alcuni commentatori, tra cui John Perry Barlow , ex paroliere dei Grateful Dead, evidenziavano lo stato di malattia quasi terminale nel quale si trovavano le grandi società che distribuiscono audiovisivi e gestiscono i diritti: malattia quasi terminale dovuta anche – ma non soltanto – a Internet. Già allora si evidenziava la necessità di ripensare il mondo della musica, la gestione dei diritti, le modalità di promozione e diffusione, i rapporti con i consumatori.

A distanza di cinque anni, nulla di nuovo sotto il sole. Le idee migliori non vengono, tranne qualche caso eccezionale (la “scaricabilità” di mp3 a prezzo basso sperimentata con successo da Apple negli USA), dai “big”, ma da altre fonti (come la sampling license di Gilberto Gil e Creative Commons) e le grandi società pensano, come sta facendo EMI in questi giorni, soprattutto a fare causa (questione “Grey Album”), più che a progettare nuovi metodi per affrontare il digitale.

La mancanza di idee nuove, e sistemi nuovi, che possano accontentare tutti gli attori coinvolti nel panorama musicale, creano, così, un quadro desolante, dove sempre di più è marcata la rottura tra il mondo degli artisti, degli utilizzatori/consumatori, delle grandi società che gestiscono i diritti, degli utilizzatori di Internet.

Il Grey Tuesday
Gli antefatti: tale DJ Danger Mouse pubblica un disco dal titolo The Grey Album , nome ideale per raccogliere ciò che è un remix del Black Album di Jay-Z e del White Album dei Beatles. Si tratta di una operazione di remix dei brani che DJ Danger Mouse effettua senza alcun permesso.
L’esito di questo remix senza permesso viene considerato arte illegale .

Il 24 febbraio, in rete, viene celebrato il Grey Tuesday , una giornata organizzata da molti musicisti e gestori di siti web per protestare contro la guerra legale che si è sollevata contro il Grey Album: l’azione di protesta consiste, come è abitudine in Internet, nel postare e mettere a disposizione l’album su più siti possibili in Rete.

La battaglia legale è stata iniziata dagli avvocati della EMI , che hanno intimato a DJ Danger Mouse di smetterla di commerciare l’album e di distruggere tutte le copie. Contestualmente, i legali della EMI hanno minacciato azioni legali contro tutti coloro che stanno mettendo in linea l’album incriminato.

Ora, la situazione è abbastanza chiara, sotto alcuni aspetti, ma è idonea a sollevare alcune riflessioni, dall’altra.

DJ Danger Mouse doveva chiedere il permesso, per fare il remix, e non l’ha chiesto. Probabilmente molti musicisti, o artisti, sarebbero d’accordo nel ritenere l’azione del DJ come lesiva dei diritti dell’autore. Altri artisti, con mentalità diversa e “più aperta”, potrebbero essere, invece, onorati o contenti del fatto. Questione di opinioni, insomma. Ed è normale.

Il problema è questo: quegli artisti che, in ipotesi, sono fermamente convinti che ci debba essere un diritto gratuito per il remix della loro opera (e i motivi potrebbero essere tanti: maggiore diffusione del nome dell’artista o del brano, diffusione del brano anche in ambienti – ad esempio discoteche – diversi da quelli “frequentati” dal brano originale, voglia di diffondere liberamente la cultura musicale o di permettere a terzi di costruire sopra al proprio lavoro), che potere hanno, in concreto, nei confronti della propria casa discografica o del produttore, perché tale libertà incondizionata di remix sia garantita?

Se veramente tutte queste azioni legali, che ormai vengono portate ogni giorno, sono condotte per tutelare gli autori/artisti (o, almeno, così si dice) e i loro diritti, perché non si lascia agli autori stessi la possibilità di scegliere se garantire, ad esempio, una possibilità di remix gratuito sul loro lavoro? Ciò non solo non avviene, ma sono anche idee “di libertà” che danno molto fastidio al mondo del business.

Gilberto Gil e la sampling license di Creative Commons
Una cosa interessante, a questo proposito: Lawrence Lessig, nel suo Blog , nota come il tipo di licenza musicale “Sampling License” sviluppata da Gilberto Gil, musicista e ministro della cultura brasiliano, insieme a Creative Commons , permetterebbe la libertà del remix.
Lessig nota, però, che tale tipo di licenza non è stato apprezzato (ed approvato) da nessuna casa discografica e, anzi, Vivendi ha intimato esplicitamente ai propri artisti di non adottare tale tipo di licenza.

Prendendo spunto, sempre, dal Blog di Lessig, sorgono problemi interessanti.
Lo studioso americano si chiede se il diritto dovrebbe garantire una sorta di “libertà di remix” . Uhm, la questione è delicata, e penso che sia molto personale e di non facile soluzione. Alcuni sostengono – o sosterrebbero – di sì, altri artisti di no. Penso, insomma, che siano comprensibili, e non criticabili, tutte e due le posizioni.

Il passo successivo è questo: potrebbe, la legge, garantire a DJ Danger Mouse un diritto, a pagamento, per effettuare il remix? Ad esempio, facendo in modo che il DJ paghi una piccola somma, per copia venduta a o scaricata, agli autori “originari”? Anche su questo punto si potrebbe discutere, anche qui si avrebbero opinioni discordanti, ma forse un po’ di diffidenza cadrebbe, vista la presenza di una “piccola ricompensa” per il lavoro – o i lavori – all’origine del remix. Potrebbe essere visto, anche dal mondo del business, come un nuovo modo di fare profitto.

Veniamo a quella che, per Lessig, è la questione centrale: dovrebbero, i discografici o produttori, dare agli artisti una possibilità di scelta preventiva, in modo che qualcuno possa remixare i brani senza chiedere il permesso se l’autore è d’accordo? Beh, qui la situazione sembra più chiara.
Se davvero le case discografiche vogliono tutelare gli artisti, quantomeno una possibilità di scelta andrebbe loro data. Ogni artista dovrebbe avere la possibilità di scegliere se il proprio lavoro può essere liberamente remixato o meno.

Penso che queste questioni siano un segnale abbastanza indicativo di ciò che sta succedendo nel mondo della musica. A volte la giustificazione, da parte di grandi società, che certe azioni legali vengono portate per
“tutelare gli artisti” nasconde una mancata volontà di pensare realmente a nuovi modi di fare business che possano conciliare, in maniera non conflittuale, gli interessi di tutti (artisti, distributori, produttori, consumatori).

Forse invertire la prospettiva, e partire dalla libertà, soprattutto libertà di scelta dell’autore/artista, più che insistere nei divieti e nelle strategie del terrore, potrebbe portare beneficio ad un settore che non è crisi unicamente per le novità portate dalla rete, ma anche per la miopia, giuridica ed economica, di molti operatori.

Giovanni Ziccardi
Ziccardi.org

dello stesso autore:
P2P e diritto penale in Italia
DVD Jon e crisi della civiltà giuridica

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
27 feb 2004
Link copiato negli appunti