NGN, eppur si muove

NGN, eppur si muove

Compare online un documento che dovrebbe tracciare le linee guida del passaggio alla fibra nel Belpaese. E poi c'è la raccomandazione UE, che passerà al voto la prossima settimana. Gli operatori concorrenti sono sul piede di guerra
Compare online un documento che dovrebbe tracciare le linee guida del passaggio alla fibra nel Belpaese. E poi c'è la raccomandazione UE, che passerà al voto la prossima settimana. Gli operatori concorrenti sono sul piede di guerra

Un documento top secret, così lo definisce IlSole24Ore che pare aver fatto lo scoop pubblicandolo : 23 pagine di indicazioni all’Agcom, l’authority che deve definire le regole del gioco per il passaggio dal rame alla fibra, che lo stesso organismo dovrebbe far sue come punto di partenza per la discussione con gli interessati. Il documento, intitolato “Proposta non vincolante di Linee guida per la disciplina della transizione verso le reti NGN”, riepiloga la situazione fin qui ben conosciuta del mercato italiano (non molto diverso, per certi aspetti, da altre realtà continentali – diversissimo per altri) e offre alcune alternative per il prosieguo: che essenzialmente vanno nella direzione della compartecipazione a capitale pubblico nelle zone meno strategiche , e verso una sorta di deregulation minore in quelle più competitive.

La premessa da cui parte il Comitato NGN che ha redatto queste pagine è simile a quanto già descritto dal Rapporto Caio e ben conosciuto dagli addetti ai lavori: in Italia, e in tutta Europa, esistono zone nere (le grandi città e i distretti industriali) in cui tutti gli operatori sono interessati a investire perché vedono convenienza a vendere servizi; ci sono poi zone grigie e zone bianche, ovvero luoghi dove difficilmente ci sarà la corsa alla copertura con la fibra e le tecnologie di nuova generazione. In questi casi, che spesso collimano con quelli di digital divide , l’ingresso dello stato (o dei fondi europei, o locali) potrebbe rivelarsi fondamentale per garantire un approccio “sociale” al cablaggio.

Senza contare, aggiunge il documento, che sebbene non ci sia richiesta di servizi sulla rete fissa tale da giustificare un investimento da parte dei privati, quegli stessi privati potrebbero ottenere un ritorno economico significativo vendendo la banda larga agli operatori mobile : guarda caso, questi ultimi sono alla prese con un cronico problema di backhauling, infrastruttura di trasporto ecc.

Nelle 23 pagine del rapporto preliminare all’Agcom, la Commissione entra nel dettaglio dei passaggi necessari (seguendo varie ipotesi) ad avviare la transizione dal rame alla fibra, e infine il passaggio definitivo alla nuova tecnologia ottica. In sostanza, e in leggero contrasto con quanto si apprende dall’ultimo draft delle Raccomandazioni NGA che l’Unione Europea si appresta a varare in autunno, l’incumbent dovrebbe essere caricato di responsabilità minime: esclusa l’ipotesi di nazionalizzazione o cessione della rete , a Telecom Italia resterebbe la possibilità di decidere tempi e modi dello switch off della vecchia cablatura in rame, pur rimanendo inalterati gli obblighi di fornitura di servizi bitstream, wholesale e simili, prevedendo inoltre che il first mover possa svolgere il ruolo di project leader (e riceverne una remunerazione: “equa”, si dice nelle carte) nel caso decida di coordinare gli sforzi con gli altri operatori interessati.

Al centro della discussione, in ogni caso, sia a livello italiano che europeo c’è l’istituzione di un inventario delle infrastrutture (obbligatorio), in cui far confluire le informazioni su cavidotti, pozzetti, armadi già esistenti e a cui aggiungere man mano che vengano realizzati nuovi impianti le informazioni relative. Nel caso italiano, tra le proposte formulate c’è pure una gestione delle infrastrutture passive con criteri differenti se di proprietà di un soggetto pubblico o comunque non coinvolto nel business TLC, o se invece quelle infrastrutture siano state realizzate da un operatore.

Nel complesso, fatti salvi i doverosi inviti a rispettare standard internazionali e adottare le tecnologie più adatte e a prova di futuro, il documento della Commissione si impernia sul concetto di “apertura” della rete (intesa come libero accesso alle infrastrutture passive), e su quello di disaggregazione della risorsa : ovvero, in quest’ultimo caso, ciascuno si soffia la propria fibra nel palazzo, e chi dovesse cablarne uno dovrà lasciare spazio a eventuali concorrenti. Restano tuttavia in sospeso molte questioni relative alle economie da applicare ai servizi unbundling e bitstream nella fase di total replacement, ovvero quando il rame dovesse essere dismesso definitivamente (possibilità remota a breve-medio termine).

La differenza fondamentale tra quanto proposto dalla Commissione e l’orientamento della bozza della Raccomandazione UE è l’approccio alla duplicazione: l’Europa invita a non duplicare le infrastrutture , a guardare ove possibile a circoli virtuosi, in molti casi anche invitando le authority nazionali a intervenire con rigorose ed estese regolamentazioni per consentire uno sviluppo sano del mercato. Meno rigorosa sembra invece la proposta italiana, che tuttavia pare destinata comunque a essere profondamente emendata nel corso del tavolo sulla NGN (sempre che sia portato a compimento), vista anche la netta opposizione già annunciata dagli operatori concorrenti .

“Aiip, Fastweb, Wind, Vodafone, Teletu, Tiscali e Welcome Italia – si legge in un comunicato diffuso nel pomeriggio – che insieme a Telecom Italia compongono il Comitato NGN, hanno disconosciuto, nel corso della odierna riunione del Comitato, i contenuti delle linee guida per la transizione verso le reti NGN, resi disponibili sul sito del Comitato e anticipati oggi dagli organi di stampa”. Una bocciatura netta : “Il documento proposto dal Presidente, nella sua versione attuale, esula dagli obiettivi, non illustra l’esito dei lavori finora svolti, e non rappresenta trasparentemente le diverse posizioni espresse da ciascuno degli operatori”.

Il problema, pare di capire, sono soprattuto i criteri di definizione delle aree geografiche (nere, grigie e bianche) adottati: “Gli operatori disconoscono in particolare l’approccio proposto da Telecom e, ad oggi, presente anche nelle conclusioni del Presidente, sulla differenziazione geografica cui applicare differenti rimedi regolamentari che, paradossalmente, contrasta con la regolamentazione definita dall’Autorità stessa ed oggi in vigore”. Inoltre, “A tale approccio si è giunti utilizzando il criterio della profittabilità che confligge con i principi regolatori europei e nazionali (…) Le stesse aree geografiche individuate vengono utilizzate per rimuovere i rimedi regolamentari esistenti in capo all’operatore dominante e per attribuire obblighi regolamentari ad operatori non notificati”.

La situazione è dunque giunta a uno stallo: la Commissione NGN viene di fatto “destituita” da buona parte dei suoi partecipanti, mentre si attendono gli esiti del tavolo NGN al Ministero dello Sviluppo (che resta sempre una poltrona vacante, sebbene il sottosegretario Romani che si occupa di Telecomunicazioni sia uno dei candidati a occuparla). Quello che la relazione presentata non tocca sono le attuali condizioni di fornitura dei servizi wholesale sulle reti in rame: “Si tratta di un aspetto fondamentale del mercato delle reti ad alta velocità – spiega a Punto Informatico Innocenzo Genna, esperto indipendente di regolamentazione UE e già chairman di ECTA – Finché gli operatori storici continueranno a generare soprapprofitti dalle reti tradizionali tramite le tariffe wholesale eccessivamente elevate (tra cui l’ULL), non avranno mai alcun reale interesse a migrare verso le reti NGA. La regolamentazione delle stesse non ha alcun effetto a questo riguardo, però essi la invocheranno come alibi per non investire in fibra”.

Secondo Genna, “Gli unici investimenti in fibra che riterranno di effettuare saranno quelli indirizzati a rispondere ad investimenti in fibra di operatori alternativi. Con il risultato che non avremo per la fibra ottica uno sviluppo armonico a livello nazionale, ma situazioni di forti disparità”. Come dire, il rischio che il digital divide si allarghi è concreto : pertanto, alla luce di queste considerazioni, la necessità di regole che “invoglino” gli operatori all’investimento senza penalizzare o avvantaggiare nessuno appare sempre più urgente, sia a livello nazionale che comunitario.

Luca Annunziata

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Pubblicato il
10 set 2010
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