Nomine AGCOM/ La parola a Sergio Bellucci

Nomine AGCOM/ La parola a Sergio Bellucci

Per leggere le questioni tecniche con le lenti dell'interesse generale. La comunicazione dovrà essere davvero un bene comune. E bisognerà evitare che la Rete si trasformi in un incubo orwelliano
Per leggere le questioni tecniche con le lenti dell'interesse generale. La comunicazione dovrà essere davvero un bene comune. E bisognerà evitare che la Rete si trasformi in un incubo orwelliano

Continua la serie di interviste ai potenziali commissari AGCOM. È la volta di Sergio Bellucci, massmediologo, giornalista e saggista. La sua biografia è reperibile all’indirizzo sergiobellucci.blogspot.it .

Punto Informatico: Quattro commissari per la corsa agli uffici di Via Isonzo. Dopo 15 anni, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha ormai guadagnato un ruolo da protagonista nella gestione dei settori TV/TLC. Una responsabilità cruciale per gli sviluppi futuri del Belpaese. Una domanda semplice: perché ha deciso di auto-candidarsi?
Sergio Bellucci: Credo che i prossimi 7 anni saranno cruciali per costruire anche nel nostro paese un nuovo modello di sviluppo e di consumo. Il paradigma digitale ha già ridescritto molte delle attività e delle relazioni umane, ma nei prossimi anni questa trasformazione cambierà definitivamente il mondo in cui viviamo. Mi occupo delle analisi e delle possibili risposte a questa trasformazione da oltre 30 anni nelle mie attività lavorative, sociali e politiche. Per questo penso che le mie conoscenze e le mie esperienze possano contribuire al funzionamento della nuova AGCOM.

PI: Come sottolineato dal Presidente della Camera Gianfranco Fini, tutte le candidature in formato CV saranno funzionali ad una valutazione professionale, indipendente e soprattutto trasparente dei papabili. È solo un segnale, ma pare che le istituzioni abbiano intrapreso un percorso preciso verso la meritocrazia. Secondo lei per l’authority sulle comunicazioni occorre un profilo tecnico o politico? Quali sono le competenze necessarie per operare al meglio in quel ruolo?
SB: Un’Autorità di garanzia, soprattutto in un comparto così specializzato, non può esimersi da avere al proprio interno persone competenti nelle materie di sua pertinenza. Ma nulla di più della comunicazione assume un valore direttamente politico. Questo non significa dover scegliere con logiche partitocratriche. La politica è la capacità di comprendere i bisogni sociali diffusi e di interpretarne le esigenze, rimuovendo le cause che producono discriminazioni ed esclusioni che il mercato, lasciato a se stesso, produce. Le persone che andranno all’AGCOM dovranno saper leggere le questioni tecniche con “gli occhiali” dell’interesse generale, che è la politica intesa in senso vero.

PI: Individuando le problematiche più spinose, il cosiddetto beauty contest è stato annullato a maggioranza dalla Commissione Finanze della Camera. E così il dividendo digitale che proviene dal passaggio al digitale terrestre sarà probabilmente assegnato attraverso un’asta a pagamento molto simile a quella già effettuata per le reti mobili. La politica italiana è però divisa, diciamo spaccata.
SB: Il passaggio della comunicazione al digitale poteva essere un’occasione di forte apertura democratica verso un pluralismo comunicativo ed imprenditoriale. Purtroppo l’occasione è andata perduta. Lo stesso dividendo digitale invece di essere utilizzato per l’apertura a nuovi soggetti imprenditoriali o a nuovi usi sociali delle frequenze rischia di aumentare i livelli di concentrazione nel paese. Le frequenze andrebbero messe a disposizione attraverso logiche nuove rispetto alla vendita che consentirebbero anche a soggetti imprenditoriali minori di poter sviluppare prodotti e servizi da sperimentare sul mercato, e la possibilità di affidare agli utenti la sperimentazione di usi sociali.

PI: Secondo l’ex-ministro Paolo Romani, l’emendamento che ha annullato il beauty contest sarebbe inefficace oltre che inopportuno: “così com’è congegnato non consentirà a Rai e Mediaset di partecipare alla gara”. Qual è la sua posizione a riguardo?
SB: La posizione dell’ex ministro Paolo Romani guarda al passato, al vecchio rapporto che c’era nel mondo della comunicazione tra Rai e Mediaset, mentre la comunicazione di domani si giocherà su usi innovativi delle infrastrutture di rete, delle frequenze, degli applicativi necessari alla produzione ed al consumo mediale del digitale.

PI: Un’altra tematica che ha destato vibranti polemiche è legata alle misure di tutela del diritto d’autore sulle nuove reti di comunicazione elettronica. Parliamo della famigerata delibera 668/10/CONS. In Francia c’è HADOPI e i cosiddetti tre colpi che disconnettono gli utenti colti ripetutamente con le mani nel sacco del P2P. I netizen italiani dovrebbero attendersi un destino simile?
SB: Colpevolizzare il P2P non è la strada per sviluppare i nuovi modelli di mercato che il digitale preannuncia all’intera economia. Occorrono forme innovative che possano garantire agli utenti il diritto di accesso ai contenuti e forme di tutela del diritto di chi ha prodotto quei contenuti. Questo è il terreno sul quale sperimentare forme innovative di proprietà, e di diritti all’acceso di quel “bene comune” che è la comunicazione.

PI: L’ex-presidente Calabrò aveva rifiutato la visione di AGCOM “sceriffo di Internet”. Il notice-and-takedown di matrice statunitense diventa una formula sempre più diffusa, coinvolgendo le stesse piattaforme, ma anche i fornitori di connettività. Secondo lei chi dovrebbe agire per l’effettiva rimozione del materiale in violazione del copyright? Le chiedo anche se ha una proposta alternativa a quella introdotta dalla delibera?
SB: Internet non può essere considerato un mondo nel quale le regole stravolgano diritti sociali, e anche umani, che si sono affermati nella storia dell’umanità. Le novità introdotte dalle potenzialità della Rete non devono tendere a processi di controllo pervasivo affidando tale controllo a soggetti che non possono avere tale titolo. È l’impianto stesso della forma del copyright che va messa in discussione evitando di trasformare la Rete in un “grande fratello” che controlli ogni nostro gesto.

PI: Per non parlare dell’urgente necessità di rivedere l’intero sistema giuridico alla base della proprietà intellettuale. Tra licenze copyleft e creative commons, l’Unione Europea ha esteso di altri 20 anni la durata del copyright legato alle registrazioni musicali. Qual è la sua posizione in merito?
SB: Quella dell’Unione Europea di estendere per altri 20 anni la durata del copyright è una risposta conservativa dell’esistente. Il passaggio all’economia digitale necessita di più coraggio e di nuove idee. Creative commons e copyleft sono state le prime forme di quei nuovi diritti di cui avremo bisogno nell’era digitale. Ma serve una nuova ulteriore capacità creativa per dispiegare le nuove forme del produrre e del consumare.

PI: Sembra certo: bisogna trovare il giusto equilibrio tra il diritto di tutela della proprietà intellettuale e quello legato alla libertà d’informazione e di espressione. Ma come farlo al meglio?
SB: Non è un problema di equilibrio tra vecchi diritti sempre uguali a loro stessi ma di nuove forme di questi diritti. Nella “società della conoscenza” l’accesso ai contenuti è la forma della produzione di nuova ricchezza. E di ricchezza se ne produce tanta. Il tema di oggi è di distribuire questa ricchezza a vantaggio sia degli ideatori e produttori sia del diritto sotto forma di accesso degli utenti. Un esempio su tutti: nel Web 2.0 come sono tutelati i diritti degli utenti/produttori? I vecchi schemi spesso non sono più sufficienti a tutelare tutti i soggetti in campo. Per questo c’è bisogno, e non solo nel nostro paese, di un vento nuovo.

PI: Nel frattempo è stato divulgato il documento che contiene i piani preliminari per l’agenda digitale italiana. Sarà varato come decreto nella prossima estate. Concretamente, l’obiettivo ribadito è quello di portare la banda larga a tutti entro il 2013, ultraveloce alla metà delle abitazioni entro il 2020. Le buone intenzioni ci sono, ma il punto cruciale è rappresentato dalla effettiva disponibilità di risorse per trasformare i progetti in realtà. Quali sono, secondo lei, i campi d’azione di AGCOM?
SB: Senza un “governo” la realizzazione delle infrastrutture tende naturalmente a coprire le aree ricche. Questo si è visto dalla privatizzazione di Telecom in poi. Il nostro paese è ormai caratterizzato da quelli che io chiamo i “sud digitali”: secondo uno studio della Bocconi nel nord del paese la copertura dell’ADSL per il sistema delle imprese è sotto il 50 per cento, mentre addirittura all’11 per cento viene ancora oggi negato l’acceso a tale tecnologia. Lo stesso Franco Bernabé invoca per la creazione della rete NGN una “cabina di regia”, che non può non vedere un ruolo importante dell’AGCOM, auspicando un intervento pubblico, e quindi risorse della collettività, e incentivi agli investimenti privati, cioè altre risorse della collettività.

PI: All’inizio del 2012 l’Autorità aveva avanzato una proposta “in relazione all’imminente adozione delle misure pro-liberalizzazione per sostenere la crescita”. Si era parlato dell’adozione di una politica dello spettro radio, per la valorizzazione delle risorse frequenziali e dunque la liberazione di più risorse per la banda larga. Ma come incentivare al meglio lo sviluppo dell’intero ecosistema digitale tricolore? Penso alla questione legata allo scorporo della rete fissa. Lei pensa che la competizione vada accentuata sulle infrastrutture o sui servizi? Come vede la decisione di Cassa Depositi e Prestiti di investire in Metroweb?
SB: L’uso innovativo dello spettro radio è sicuramente uno dei punti centrali nella produzione delle infrastrutture necessarie alla “società della conoscenza”. Ma il tema della banda larga e della NGN non può essere risolto solo attraverso queste soluzioni. La rete fissa di cui necessiterà il paese nei prossimi vent’anni sarà il sistema nervoso intorno al quale si decideranno le sorti dell’intero sistema produttivo italiano. Per questo motivo la sua realizzazione non può essere lasciata solo agli interessi imprenditoriali dei soggetti esistenti, ma governata nell’interesse generale. E sempre per questo motivo che il ruolo pubblico non potrà limitarsi al solo intervento di natura finanziaria, intervento senza il quale, in ogni caso, sembra improbabile la “capacità realizzatrice” dei soli soggetti privati. Ed è per tutto questo che mentre sui servizi una rete neutrale consentirebbe il dispiegarsi delle intere capacità industriali e sociali del paese, sull’infrastruttura serve un governo complesso in cui il ruolo del pubblico deve saper orientare sia la qualità che la quantità delle realizzazioni tecnologiche.

PI: Una questione annosa è legata alla riduzione delle tariffe di terminazione mobile. L’Europa ha indicato la via da tempo, ma il percorso intrapreso da AGCOM nello scorso novembre avrà compimento solo nel corso del 2013. Nel frattempo, gli utenti italiani continuano ad avere i prezzi più cari. Per non parlare del fatto che il valore di 5,3 eurocent resta in vigore fino al prossimo 1 luglio, in contrasto con la decisione di Bruxelles che ha previsto una diminuzione a 4,1 eurocent dal 1 gennaio 2012. Forse AGCOM si preoccupa troppo delle possibili conseguenze sul mercato?
SB: Queste decisioni dimostrano come la capacità di intervento dell’AGCOM non sia una mera attività di applicazione delle norme, ma abbia conseguenze dirette sia sul versante industriale per le aziende sia per le tariffe dei servizi applicate agli utenti. Uno dei limiti di come l’AGCOM ha lavorato in passato sta proprio nell’idea di mediazione tra gli interessi dei soli gruppi industriali esistenti sul mercato senza svolgere, però, quella necessaria terzietà tra gli interessi industriali e quelli della collettività. Se le imprese del settore non riescono a produrre la riduzione dei costi indicata da Bruxelles è anche perché, in questi anni, l’azione dell’AGCOM non ha prodotto l’innovazione necessaria a consentire questa riduzione.

PI: Il giornalista/storico siciliano Carlo Ruta è stato alla fine assolto in Cassazione. In sostanza, il suo blog Accade In Sicilia viene considerato come una semplice pagina web e non come un prodotto editoriale da chiudere per “stampa clandestina”. Inevitabilmente, viene coinvolta la legge 62/2001 che costringe i blogger a differenziarsi dagli editori. Sembra che l’Italia non sia un paese per Internet. Cosa si può fare allora?
SB: Si deve riconoscere la nuova realtà prodotta dall’avvento del web ed in particolare dal web 2.0. Il nostro paese oscilla troppo tra il Far West ed il Regno dei Borboni. Se non produciamo nei prossimi anni l’innovazione necessaria nelle regole cosa accadrà all’avvento del web 3.0?

PI: In definitiva, la prossima agenda di AGCOM sarà piena, con numerose questioni accompagnate dalle polemiche più feroci. Dallo sviluppo delle reti di nuova generazione alle politiche di gestione dello spettro radio già adottate dalla Commissione Europea. Secondo lei quali sono le più urgenti per il futuro del paese?
SB: È importante la definizione delle nuove regole per la rete, la gestione dello spettro, il tema delle tariffe, e tutto ciò di cui sopra. Ma esiste tutto un altro grande capitolo delle attività dell’AGCOM che attiene alla qualità della vita democratica del paese, alle concentrazioni nel campo dei media, ai conflitti di interesse che condizionano la libertà di espressione. È il tema del pluralismo informativo e della produzione culturale dell’Italia. Importante è l’agenda digitale di cui il paese si sta dotando, anche se in ritardo. Ma quello che ritengo fondamentale è affiancare a questa una Agenda Culturale che sappia mettere l’Italia al centro della nuova “società della conoscenza” a livello mondiale. Ne abbiamo la storia e la cultura. Ne abbiamo le donne e gli uomini.

a cura di Mauro Vecchio

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Pubblicato il
31 mag 2012
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