Web (internet) – In questi giorni Punto Informatico è stato il centro di una articolata discussione sulla cosidetta faccenda dei domini Internet il cui pentolone (in ebollizione da un bel po ‘ di tempo) è stato scoperchiato dalla vicenda delle 500.000 registrazioni di Grauso.
Ho letto i commenti di Grauso stesso, quelli di molti giornalisti e addetti ai lavori, quelli di qualche politico suo malgrado coinvolto, dei rappresentanti di Peacelink, nonchè quelli di tanti utenti della Registration Autority che hanno provato sulla loro pelle il malfunzionamento della stessa.
Vorrei dire di essere per una volta d’accordo con tutti. Esistono in questa faccenda due interessi contrapposti di identica portata: garantire uniformità di accesso alla registrazione e limitare al massimo il commercio e l’accaparramento dei domini stessi. Ad entrambi è assai facile appigliarsi per portare nella discussione individuali e condivisibili ragioni.
La struttura organizzativa della RA sembra essere stata messa a dura prova negli ultimi mesi dalla enorme richiesta di registrazione di nuovi domini. Una impreparazione che non ha miglior definizione della frase, che chiunque di noi ha potuto leggere sulle pagine web del RA (graficamente la stessa da anni e simpaticamente inguardabile), che informava che il fax della organizzazione (strumento quasi indispensabile nelle procedure di registrazione) sarebbe risultato sempre e comunque occupato. Una preziosa informazione per l’utente: ma a chi spettava (eventualmente) potenziarne le linee?
Il regolamento della Naming Autority in vigore fino a qualche mese fa, ed anche quello attuale che consente una unica registrazione di un dominio Internet “anche” ai non possessori di partita iva è poi indiscutibilmente ingiusto, nella sua presunzione di impedire fenomeni di accaparramento di domini web limitando le possibilità di accesso ai privati. Nella gestione di questi documenti che stabiliscono “le regole”, è possibile trovare alcuni vezzi tipici di una Internet che non esiste più (alla quale evidentemente alcuni dei membri della NA continuano ostinatamente ad appartenere) come quello di numerare le release dei regolamenti in ordine cronologico, quasi si trattasse delle versioni di un software. Dalla claustrofobica versione 3.1.1 siamo quindi felicemente approdati alla discutibile 3.2.
Già, perché dove sta scritto che gli accaparratori sono tutti senza partita iva? E se poi accade che una “azienda” (sia essa Tiscali o una delle società di Grauso o qualunque altra fra quelle che in questi mesi sono corse a riservarsi i domini più strani) nel pieno rispetto delle regole, condizioni in qualche maniera la normale crescita della comunità internet italiana, a chi spetta eventualmente intervenire? Alla magistratura, come sempre più spesso avviene? Al potere legislativo? All’Authority? Ai Carabinieri a cavallo?
Tutti hanno ragione e tutti torto in questa faccenda. Pensate ai poveri “Stefano Passigli” di tutta la penisola ai quali il loro omonimo Ministro della Innovazione vorrebbe soffiare il dominio individuale (anticipato in questo dalla geniale e polemica trovata di Grauso). Pensate a Grauso messo in croce dai media di tutta Italia per aver seguito alla lettera la release n° XyZ del regolamento della NA. Pensate al povero fax della Registration Autority, figlio unico e perennemente assediato da messaggi provenienti da tutta Italia (molti dei quali, è vero, dalla Sardegna) a qualunque ora del giorno e della notte. Pensate infine al signor Barbieri, editore di immagini sacre che, dopo aver registrato l’innocuo www.barbierieditore.com si è visto in questi giorni recapitare un corposo plico dalla Mattel Inc. che detiene il trademark della bambola Barbie, nel quale gli avvocati della azienda californiana lo diffidano dall’utilizzare, atraverso il dominio www.barbierieditore.com, un marchio registrato in tutto il mondo.
Anche la Barbie si difende come può: esattamente come Stefano Passigli, come Grauso, come i pensatori del regolamento per i domini .it. E ‘ una faccenda curiosa, tutti sembrano avere salde ragioni, tutti hanno certamente, in parte, torto. Nella recente storia dei domini Internet il “buonsenso” resta uniformemente distribuito in diluizioni meno che omeopatiche. Non è quindi un caso se www.buonsenso.it, non ha ancora un assegnatario. Trattasi di un articolo che, come dimostrano i fatti di questi giorni, ha ben pochi estimatori.