Roma – Non finisce qui la questione Payland. La trasformazione di una delle più note imprese del pay-to-surf non è andata giù a tanti, forse a moltissimi, al punto che in questi giorni sta prendendo corpo l’Associazione degli ex-paylander allo scopo di rifarsi su Payland per le decisioni prese.
Si tratta di un gruppo di utenti che non è disposto ad accettare le condizioni che Payland ha dettato ai suoi abbonati dopo aver annunciato che da classico sparabanner, dedicato all’invio di pubblicità sui monitor degli utenti che per questo venivano remunerati, si è trasformato in negozio online. Un negozio nel quale si possono spendere i punti che sostituiscono i contanti promessi in origine per gli utenti che riceveranno la pubblicità inviata da Payland.
Ma non è solo il radicale cambiamento nel rapporto imposto da Payland che ha colpito gli utenti, quanto il fatto che verranno remunerati per la pubblicità vista in precedenza, alle condizioni di contratto originarie, solo coloro che alla data del primo novembre avevano raggranellato almeno 75 euro di compensi. Tutti gli altri, compresi quelli che sono arrivati vicini a quella soglia, hanno visto convertire i soldi fin lì accumulati in punti da spendere online.
L’Associazione non usa mezzi termini per attaccare Payland sulle proprie pagine. Parla apertamente di truffa: “In questo sito, vogliamo raccogliere tutti quelli che si sono fidati di Payland.com, e che sono stati truffati! Molti non hanno ricevuto e non riceveranno il credito che, prima del famoso 1-Novembre-2000, data in cui è avvenuto il cambio di pelle della società, avevano accumulato! Tantissimi non sono arrivati alla sospirata quota dei 75 Euro (145.200£), e dopo mesi e mesi di fatica, hanno visto il proprio credito convertito in NetCoin (moneta virtuale) e/o in punti!, o peggio, azzerato!!!”.
A Punto Informatico Payland aveva spiegato la difficoltà incontrata nel portare avanti un modello di business, quello degli sparabanner , che non dava i frutti sperati. Dichiarazioni alle quali ha però replicato NetFraternity, forse la più conosciuta delle imprese di settore, secondo cui il pay-to-surf è tutt’altro che morto: “Tale modello, se sfruttato con attenzione e senza troppa fretta di crescere, porta a ottimi risultati”.