Roma – Come temuto e paventato, “riciccia” il disegno di legge sui domini Internet, una proposta governativa che riprende le linee del disegno Passigli, già ampiamente criticato sulla Rete, ma poco conosciuto al di fuori di Internet.
Tra le numerose disposizioni che potrebbero diventare legge della Repubblica, qualora il disegno di legge completasse l’iter legislativo, vi sono quelle sulla retroattività dell’efficacia delle norme. Una retroattività che potrebbe “punire” gli italiani che hanno registrato domini Internet “non conformi” alle regole, ovvero nomi considerati “irregistrabili” o suscettibili di essere giudicati frutto di cybersquatting. Il tutto in un quadro normativo che non chiarisce chi dovrebbe controllare cosa e prevede sanzioni difficilmente applicabili ai “trasgressori”, a coloro che non “sfruttano” un dominio in tempi “ragionevoli” e altre amenità .
Ieri sulla questione è intervenuta anche l’ ADUC , l’associazione dei consumatori, secondo la quale i parlamentari che se ne occupano stanno “mostrando incompetenza e ignoranza sulla materia di cui trattano. In questo caso, per esempio, con una legge territorialmente definita, vogliono imporre a chi ha il cognome “Napoli” o “Ragusa” o “Milano” di non usarlo per il proprio dominio, e chi lo ha registrato prima dell’entrata in vigore di questa legge, dovrà adeguarsi”.
Secondo l’ADUC “si cerca di imporre, una legge e un regola a qualcosa che non può assolutamente essere regolato da un codice di un’autorità superiore, ma solo dai suoi stessi consumatori”.
Il presidente ADUC Vincenzo Donvito ha anche rilevato che “lo si sta cercando di fare con il bavaglio alle news online, cercando di imporre il direttore responsabile iscritto all’albo dei giornalisti, così come con le regole del trading online: il nostro legislatore non si vuole proprio convincere che il costrutto giuridico di una nazione, non può essere applicato a qualcosa come Internet, perché mentre per la nazione c’è un potere territorialmente definito dove può essere applicato, per Internet vale il contrario. Non sappiamo se queste semplici constatazioni siano patrimonio delle conoscenze del relatore della commissione Giustizia del Senato e di tutti gli altri componenti della commissione stessa, ma abbiamo l’impressione che così non sia. Così come non è loro patrimonio cosa sia essere in Internet, lavorare, giocare, dialogare, amare, cercare, studiare, guadagnare con quello strumento che, nella sua stessa natura e applicazione, presuppone l’inefficacia e la distruzione del potere legato al possesso dei mezzi di comunicazione e informazione”.
Al momento il DDL è all’esame della commissione Giustizia del Senato dove rischia di fermarsi ben poco perché, come ha ieri sottolineato il relatore del provvedimento, opposizione e maggioranza “sono d’accordo”. Proprio per questo, Punto Informatico ieri ha intervistato sulla questione l’unica voce “fuori dal coro”, quella del senatore della Lista Pannella, Pietro Milio. Nella mattinata di ieri il senatore aveva affermato in una nota che: “Il potere politico sta già pensando di mettere le mani su questa torta, rischiando però, nel contempo, di pregiudicare lo sviluppo di Internet”.
Abbiamo chiesto al senatore Milio perché ritiene che questo sia ciò che sta avvenendo. “Da tempo – ha affermato – sto seguendo, da un punto di vista politico e normativo, il fenomeno internet. Per l’esattezza dal 1998 quando ho presentato ben cinque disegni di legge. Sono tutte proposte che tendono a favorire lo sviluppo di internet evitando scrupolosamente di attribuire allo Stato ‘poteri di ingerenzà nel territorio internet”.
“Tutte queste proposte – ha continuato Milio – giacciono nei cassetti delle varie Commissioni e le forze di maggioranza si sono ben guardate dal chiederne la discussione anche nei casi in cui, come è avvenuto recentemente in materia di agevolazioni per il commercio elettronico, c’erano tutti i presupposti per farlo”.
“Ho anche seguito – ha spiegato il senatore radicale – quello che le altre forze politiche hanno nel frattempo proposto e ho notato che, salvo rarissime eccezioni, si è sempre trattato di provvedimenti che tendevano a introdurre anche in internet la “longa manus” dello Stato. Il fatto è che la libertà in Italia fa paura e dunque internet fa paura, alla sinistra così come alla destra. Ed è a mio avviso una paura che non consente di osservare serenamente il fenomeno in modo da formulare le politiche opportune a favorirne lo sviluppo. E ‘ per questo, ad esempio, che si è preferito ignorare le proposte dei radicali e fingere di occuparsi di telematica discutendo di proposte di fatto inconsistenti se non inopportune, come questa sui domini internet”.
PI: All’epoca del primo passaggio in Consiglio dei ministri del DDL Passigli ci fu sulla Rete una “levata di scudi” contro la proposta, che non risolveva una serie di contraddizioni sui diritti al dominio, sul cybersquatting e via dicendo. Il Senato ora parrebbe non tenerne conto… A cosa stiamo andando incontro?
Milio: Stiamo andando incontro al pericolo che le forze politiche ostacolino lo sviluppo economico e culturale insito in internet, in un momento in cui, finalmente, anche in Italia la telematica sta iniziando a svilupparsi. Le forze politiche sono lontane dalla gente e dai problemi concreti. Lo dimostra la totale indifferenza per quella che lei definisce la “levata di scudi” di quest’estate sul DDL Passigli. Credo che a noi radicali spetti anche in questo caso il compito di dar voce a coloro che, almeno per il momento, non ce l’hanno nei Palazzi della politica. Il mio impegno è perché il Senato questa voce la ascolti, attraverso me ma anche attraverso gli operatori che già invito a sollecitare audizioni in Commissione Giustizia, intanto sul provvedimento dei domini che è all’ordine del giorno.