Roma – “Quel che ho fatto è solo non compiere una ingiustizia nei confronti di quattro extracomunitari che non sanno di diritti d’autore e di Siae ma solo di sopravvivenza. Il bisogno di vita, di mettere insieme il pane per la cena, è superiore ad ogni cosa. E questo, il diritto, lo riconosce in pieno”. Così il giudice di Roma Gennaro Francione in una intervista a “IlNuovo” spiega perché, pur riconoscendo l’esistenza del reato, ha deciso di non condannare i quattro extracomunitari “colti in flagrante” nella vendita di CD pirata.
L’idea alla base di una sentenza che sembra destinata a impattare duramente sui procedimenti in questo settore è molto semplice: i quattro hanno agito per indigenza e dunque condannarli sarebbe stato scandaloso. Da lì la decisione del tribunale di riconoscere tutte le possibili attenuanti, fino ad arrivare ad una sentenza di assoluzione.
Il giudice sostiene tesi clamorose, come il diritto a vendere CD pirata per strada se lo si fa per procurarsi da mangiare e se si incontra l’accettazione del pubblico. Sembra prendere cioè atto di quello che accade sui marciapiedi e le strade di tutta Italia.
E lasciando aperta la porta, nella sua sentenza, ad un ricorso in sede civile della SIAE, rincara la dose: “La vendita a poche lire non fa male a nessuno. Diffonde l’immagine a un pubblico più vasto, e poi se guardiamo quel che è successo con la Playstation ne è un esempio. Da sempre è abitudine farla modificare per poter giocare con i dischetti pirata, eppure ha una diffusione grandissima e il mercato è vivo come non mai”.
Di interesse alcuni passaggi chiave del procedimento, che consentono di inquadrare la portata ma anche il contesto in cui è stata pronunciata la sentenza: “Il Giudice (…) considerando che ricorresse un caso di obbligo di immediata declaratoria di causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p. per aver l’imputato agito in stato di necessità essendo mosso nella sua azione di venditore di cd contraffatti dalla necessità di salvare sé stesso dal pericolo attuale di un danno grave alla salute e alla vita rappresentato dal bisogno alimentare non altrimenti soddisfatto.”
“Nel caso di specie la norma repressiva di base, la protezione penalistica – e non meramente civilistica del diritto d’autore – è desueta di fatto per l’abitudine di molte persone di tutti i ceti sociali, che, in diuturnitas, ricorrono all’acquisto di cd per strada o li scaricano da Internet”.
C’è anche Napster nei riferimenti del giudice: “Anche grossi network come Napster si sono mossi da tempo in senso anticopyright e hanno permesso copie di massa dell’arte musicale. Fenomeno appena sfiorato dalle recenti sentenze degli USA che si sono espresse nel senso di regolamentare la materia della riproduzione di massa, ma con un pagamento ridottissimo in un nuovo mercato dove il guadagno dei produttori è quantificato su minimi diffusissimi”.
Questa la visione: “il concetto di proprietà privata è troppo ingombrante per questa nuova fase storica dominata dall’ipercapitalismo e dal commercio elettronico, nella quale le attività economiche sono talmente rapide che il possesso diventa una realtà ormai superata”.