Roma – Le analisi che periodicamente affrontano i gusti di lettura, o di non lettura, concordano in modo ripetitivo sulla considerazione che gli italiani non leggano. Non leggono più i quotidiani, pare perché spendere ben 1.500 lire per conoscere le notizie già viste su Televideo o sui telegiornali appare un inutile spreco. Non leggono i settimanali, perché superficiali. Tanto meno leggono i notiziari su Internet e non si sa perché.
L’eccesso di offerta informativa, tradizionale o su rete, comporta inevitabilmente la possibilità di confronto fra i prodotti esistenti. Ricordo uno scambio di battute polemico con Granzotto, ex direttore de Il Giornale del Piemonte, quotidiano torinese in crisi perenne. Alla litania sui “lettori che non leggono”, risposi, come rispondo sempre, che se i lettori non leggono, non è perché siano ignoranti. Semmai è perché siamo ignoranti, impreparati e superficiali noi giornalisti. Intere redazioni di quotidiani copiano, e pure male, i lanci di agenzia. Decine di portali sulla rete pensano di fare informazione collegando selvaggiamente quelle stesse agenzie.
Il lettore può ricevere senza sforzo duemila notizie in un’ora. Peccato che siano sempre le stesse: non approfondite, non documentate. Soprattutto, non selezionate. Infine, senza memoria. Come la televisione, come i giornali, anche Internet è caduta nella trappola della rincorsa al nuovo. Le notizie di ieri, o di una settimana fa, raramente restano in archivio, magari con un motore di ricerca intelligente, che permetta di approfondire, confrontare, ricostruire un avvenimento nella sua completezza.
Compito dei giornalisti (e dei tanti aspiranti giornalisti della Rete) deve essere quello di “interpretare” la realtà, fornire al lettore la chiave per comprendere gli avvenimenti e prendere decisioni più o meno importanti. Che si tratti di un investimento economico, dell’acquisto di un nuovo personal computer o della scelta di voto. I giornalisti-notai, o peggio i giornalisti-copisti, non servono a nulla. Una serie di web cam è più oggettiva e costa meno.
Alcuni giovani giornalisti che hanno la sfortuna di lavorare con il sottoscritto spesso mi sottopongono l’angosciata domanda: cosa scrivo oggi? Il consiglio vale in generale, a mio modesto parere, per chi voglia realizzare un notiziario sulla rete.
Recatevi al bar sotto casa e, mentre sorseggiate un caffé, fate parlare e parlate con il barista. Quindi andate all’edicola. Osservate per qualche minuto gli acquisti dei lettori. Sul tragitto, mentre attraversate la strada, buttate un occhio nelle automobili ferme agli incroci e chiedetevi quante persone in quel momento si stanno muovendo per lavoro o per altre ragioni. Infine, posate lo sguardo sui cartellini dei prezzi del pizzicagnolo e del panettiere e sul viso del pensionato che sta facendo la spesa. Un trucco aggiuntivo: spostatevi in tram, a piedi e in bicicletta; salite sui treni. Fate qualche coda all’ufficio postale.
In meno di un’ora, avrete materiale per un’inchiesta sui consumi voluttuari e culturali dei vostri concittadini, per un servizio sul traffico e sul pendolarismo, un’intervista ai commercianti, altre inchieste sul tenore di vita degli anziani nelle metropoli, sull’evoluzione dei servizi pubblici, sull’efficienza dei trasporti e sui problemi della mobilità. Se siete veloci a scrivere, in poche ore potrete riempire quattro pagine tabloid. E saranno tutte interessanti.
Anche sul web, il trucco potrebbe funzionare. Ci sono mille portali che raccontano in diretta l’andamento delle borse di Tokio e di New York e riferiscono di una lieve scossa di terremoto in Cile. Quanti ce ne sono che forniscono notizie approfondite e qualificate sulla vita di Cuneo o sulle quotazioni della carta, o sui collegamenti via autobus per pendolari extra comunitari fra Italia e Marocco? La localizzazione, la specializzazione, magari estrema, sono, proprio nella rete globalizzata, un prodotto stranamente assente.