Roma – Ci sono cose che noi info-appassionati (per necessità o per virtù) facciamo fatica ad ammettere di non poter neanche immaginare. La storia che vi racconto è una di queste.
Nel 1997, approfittando di una offerta speciale della Lexis – Progetti Editoriali -, acquistai, tra gli altri, un pacchetto software che consideravo (e considero tuttora) fondamentale per la mia professione e la mia attività di ricerca. Si tratta del programma D.B.T., un data base testuale per l’analisi computazionale dei testi letterari e non, prodotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e giunto, allora, alla sua terza release.
C’è da precisare che la Lexis era soltanto incaricata di commercializzare il programma e di dare assistenza tecnica a coloro che avessero difficoltà nella sua installazione e/o configurazione che, come vi dirò più avanti, non sono operazioni strettamente “intuitive” ed “indolori”.
Avevo già usato una versione del programma per Dos in occasione della mia tesi di laurea e mi auguravo che quella che mi accingevo a comperare, ancorché fosse stata progettata per Windows (non si può pretendere tutto, e poi avevo l’esigenza di utilizzare degli archivi in formato proprietario e l’alternativa era buttare all’aria il lavoro di una vita o acquistare il software, e visto che mi considero una persona comprensiva uso i software e i sistemi operativi per quelli che sono secondo il bisogno che ne ho) potesse aiutarmi nel prosieguo della mia attività di ricerca.
Cosa che è puntualmente accaduta, naturalmente. Oltretutto il prezzo del singolo software era particolarmente vantaggioso anche per quegli anni (e ne sono passati solo quattro, sembra di parlare del Pleistocene, ma il cannibalismo informatico ci ha obbligati anche a questo, a considerare obsolete delle risorse validissime e, soprattutto, a dover ignorare completamente delle scelte pagate fior di soldoni ballanti e sonanti), solo 30.000 lire per una installazione.
D’accordo, lo avevo acquistato assieme ad un altro pacchetto e, proprio per questo, mi era stato praticato uno sconto notevolissimo, ma si trattava per me di una sorta di software di sopravvivenza, come ho già detto, o mangi questa minestra o salti dalla finestra. Visto che la minestra non era poi male e che si rischiano fratture notevoli a saltare dalla finestra ho accettato l’offerta.
Il materiale mi giunge a casa in perfetto stato, apro la confezione del software (contenuto in tre floppy, probabilmente uno degli ultimi ad essere distribuito così) e penso “Beh, un po’ spartana ma sembra che ci sia tutto”. E poi non avevo bisogno di qualcosa di bello da vedere, ma di efficace da usare. Procedo all’installazione inserendo nella maschera apposita il codice utente fornitomi insieme al software, ma con un certo disappunto, noto che la macchina mi genera un secondo codice che, stando al manuale che accompagna il pacchetto, devo comunicare alla Lexis per telefono o via e-mail, in modo da poter ottenere un terzo codice che, una volta inserito, chiude la procedura di blocco del programma e permette all’utente di poter finalmente accedere (non senza aver sacramentato svariate volte, anche perché non si vede per quale motivo uno dovrebbe pagare per una telefonata quando ha già pagato un pacchetto software completo con tanto di fattura e dovrebbe essere messo in grado di fare il lavoro per cui lo ha richiesto).
Quindi, ricapitolando, abbiamo tre codici. Il primo, fornito all’utente all’atto
della vendita, il secondo generato dalla macchina al momento dell’installazione (e, con ogni probabilità, diverso da macchina a macchina a seconda delle caratteristiche tecniche del computer ospite) e il terzo fornito dalla Lexis. Macchinoso, ma insisto ad essere paziente e comprensivo.
La pirateria, per chi dedica tempo e fatica nella realizzazione di questi che sono, oltretutto, strumenti scientifici, è una minaccia reale, a dispetto del dibattito che si fa sull’opportunità di mantenere la regolamentazione penale in tema di diritto d’autore legato al software. E poi, ripeto, il programma mi serve.
Una volta letto bene il manuale (che, bisogna dirlo, era incluso all’interno della confezione sigillata, mentre sull’involucro esterno non c’era nessun cenno ai passi da fare per l’installazione e la configurazione del programma) ho appreso che per disinstallare il programma avrei dovuto procedere con una speciale procedura da Windows (naturalmente inclusa) e comunicare alla Lexis un ulteriore codice (il quarto), questa volta di disinstallazione. Ma non è finita qui.
Sul manuale del software (che naturalmente ho dovuto dissigillare, altrimenti non avrei mai potuto leggerlo) era specificato che non era possibile reinstallare il programma D.B.T. su una macchina da cui era stato precedentemente disinstallato, a meno di non riformattare l’hard disk.
Sembra assurdo ma sono pronto a mandare una scansione della pagina in cui tutto questo è messo nero su bianco a chiunque me ne faccia richiesta. Chiedo spiegazioni alla Lexis. “Sa, non possiamo farci niente, noi vogliamo essere certi che non esistano atti di pirateria sul software, capiamo le sue esigenze ma il pacchetto è questo, prendere o lasciare…”. E naturalmente “prendo”.
Le cose vanno bene finché non decido di affiancare a quella di Windows anche una partizione Linux e di installare il conosciutissimo Lilo per le necessarie istruzioni alla macchina circa il sistema operativo con cui desidero iniziare la mia sessione di lavoro. Nessun problema nell’installazione di Lilo, tutto funziona perfettamente sia sul versante Linux che su quello Windows ma… ecco che appena vado ad usare DBT, il maledetto mi chiede di nuovo il codice fornito dalla Lexis.
Chiamo, spiego il problema, e dopo avermi fatto notare che comunque ci vuole il codice di disinstallazione (curioso che ci sia necessità di un codice di disinstallazione per un software che non è mai stato disinstallato), mi danno un codice nuovo, non senza prima avermi fatto notare che Linux non dà nessun fastidio a DBT, e che, implicitamente, non credevano alla mia versione.
Naturalmente non ho nessun interesse a essere creduto, ma solo quello di continuare a lavorare in pace. Solo che, grazie al cielo, le distribuzioni di Linux sono tante e varie, e vale la pena provarle un po’ tutte per vedere quale possa fare al caso nostro. Senza strafare, mi butto sul classico (SuSe, RedHat e Mandrake). Ovviamente, una volta installato un’altra volta il Lilo, si ripresenta, per il solo programma DBT della partizione Windows, lo stesso, annoso problema.
Nuova telefonata alla Lexis e nuovo “gesto di favore”. Della serie “Anche stavolta non hai il codice di disinstallazione ma noi ti aiutiamo lo stesso”. E va beh, tante grazie, ma com’è che io non sono libero di installare sulla mia macchina quello che voglio, pena l’andata in “tilt” di un software di primaria importanza?
Arriviamo, di questo passo a tempi recentissimi, quando, dopo un crash della partizione Windows (sono cose che capitano, appunto, se si usa Windows bisogna metterle in preventivo e personalmente non me la prendo più di tanto, basta un po’ di pazienza, una buona dose di senso dell’umorismo e un backup dei dati e dei programmi essenziali) reinstallo il DBT e ho bisogno, di nuovo del codice di sblocco.
L’addetta al telefono della Lexis mi precisa che loro non sono più tenuti a fare questo tipo di assistenza e che il tutto è stato trasferito alla ditta Aracnoidea dove, però, mi fanno notare che la versione da loro commercializzata è la 4.0, mentre io sto chiedendo un codice per la versione 3.0.
Richiamo la Lexis dove parlo con un tecnico che mi nega il codice di sblocco perché “Lei ha usufruito più volte di un trattamento di favore, dato che non ci ha mai comunicato il codice di disinstallazione e in ogni caso non siamo più noi ad occuparci di queste cose”. A questo punto gli faccio notare che il software l’ho comprato regolarmente e che pretendo che funzioni, e che se ha dei dubbi sull’effettivo utilizzo della licenza singola, o che il programma venga utilizzato in modo fraudolento anche su altre macchine in mio possesso può sempre venire a controllare. Inoltre gli spiego che possono sussistere situazioni di emergenza (quali, appunto, crash di sistema, infezioni) in cui un utente può essere semplicemente costretto a riformattare e che, visto che l’utente agisce sulla sua proprietà, può anche formattare il suo hard disk 5 volte al giorno, se proprio ne ha voglia. Inoltre, sul manuale fornitomi assieme al software è specificato in modo chiaro chi è tenuto a dare questo tipo di assistenza.
Vengo invitato a richiamare l’indomani, e trovo una signora gentile e comprensiva che mi risolve il problema in via di favore (“non spetta più a noi, ma La capisco”). Adesso devo solo pregare che il sistema non crashi di nuovo (e trattandosi di una partizione Windows la cosa è assai più probabile di quello che si crede) perché, a meno di comprare la versione 4.0, sembra che nessuno avrà più voglia di dare assistenza antipirateria a un software comprato regolarmente. Sembra una fesseria finta. Invece è una fesseria vera.