Roma – Arriva da uno dei maggiori produttori di stampanti ed altri device hi-tech un nuovo approfondimento sulla “psicologia dei font” e sull’importanza dello scegliere i “tipi” del carattere nella stesura di un testo. Lexmark ha infatti annunciato il proprio studio sostenendo che la fine dell’epoca della scrittura a mano e l’ingresso nel mondo digitale impone alle persone di trovare nuovi modi per presentarsi e “confezionare” i propri messaggi.
Lo studio , “The Psychology of Fonts”, è stato commissionato da Lexmark allo psicologo Aric Sigman, il quale sostiene che “usare il font sbagliato dà alle persone un’impressione sbagliata di te”. E se i font disponibili nel mondo elettronico sono decine di migliaia e in continuo aumento grazie alla creatività di grafici e artisti, Lexmark insegna che scegliere bene il font è tutto, perché “è importante distinguersi dagli altri, talvolta, mentre in altri casi è necessario conformarsi a certe norme o protocolli”.
Secondo Lexmark, solo ora si inizia a valutare la reale portata della scelta dei font, la cui importanza per la socialità di un individuo è pari a quella del messaggio di una segreteria telefonica o della scelta della suoneria di un telefono cellulare.
Lexmark ha spiegato di aver condotto un’estesa ricerca sulla consapevolezza che si ha nelle aziende e tra le persone dell’uso “psicologico” dei font, ovvero del fatto che scegliere un font piuttosto che un altro per i propri testi significa influenzare in modo diverso chi fruirà di quei testi.
Vi sarebbe, stando allo studio di Lexmark, una relazione diretta tra “contesto” e font utilizzato, così stretta da rendere visibili “incongruenze” quando in un certo contesto viene utilizzato un font inadatto.
Tra gli elementi decisivi per un font, tra quelli capaci di avere un effetto sul destinatario di un testo, Lexmark elenca: le dimensioni; l’uso di font rotondi, che viene percepito come più amichevole; l’uso di font con linee dritte o angoli, che sarebbero invece dimostrazione di freddezza e rigidità; i caratteri Courier, che vengono considerati “antichi” o “primitivi” e comunque impersonali; i caratteri come Times, Times New Roman o Palatino, che sono un compromesso tra vecchio e nuovo, che dimostrano tradizione ma anche innovazione e che sono i preferiti da molte aziende; gli stili Sans Serif, come Arial, Modern o Universal, che trasportano poche emozioni e rappresentano una scelta sicura per chi vuol dire poco attraverso i font (Arial è la scelta più comune nell’uso personale dei font); font che riproducono la grafia, che segnalano amicizia e familiarità, spesso usati a sproposito da chi non è né amico né familiare.
Altri elementi dello studio Lexmark toccano l’uso dei font nelle aziende, nelle presentazioni personali, nei curricula e via dicendo. In generale secondo Lexmark “la tecnologia per esprimersi attraverso la scelta dei font è molto avanzata e accessibile, ma le persone non ne stanno ancora sfruttando le potenzialità”.
Va detto che risultati analoghi erano già stati presentati da Sigman nei mesi scorsi e non tutti si erano detti d’accordo sulle sue rilevazioni. A TechWeb, l’artista grafico Milton Glaser aveva confidato un’opinione durissima: “Probabilmente è più facile scoprire qualcosa di una persona in base al dessert che sceglie piuttosto che con questa ricerca. La mente umana è più complessa di tutto questo”.