Web – La parte oscura della rete, quella porzione di internet che non è facilmente visibile o raggiungibile da tutti, fino ad oggi rimasta nelle “sensazioni” degli utenti più esperti o di quelli più smaliziati e teorizzata da molti come zona “dove tutto è possibile” ha finalmente un’identità attendibile.
Ad attribuirgliela è uno studio triennale condotto dai ricercatori della Arbor Networks , una società di analisi del traffico internet che rilascerà ufficialmente il suo rapporto il prossimo martedì. Secondo Arbor Networks esiste una parte di internet, composta da circa 100 milioni di host, che non è in alcun modo raggiungibile da altre aree della rete.
Alla base della mancata interconnessione alla rete, che nasce sull’interconnessione di più reti, sarebbero una serie di diverse ragioni. Tra queste, i mancati accordi tra gli operatori di rete e le errate configurazioni di traffico.
Kevin Poulsen, di SecurityFocus.com, ha commentato le dichiarazioni di Craig Labovitz, direttore dell’architettura di rete presso Arbor Networks. Secondo Labovits “tradizionalmente si ritiene che internet rappresenti una struttura completamente connessa. Ma questo non è vero”.
Per tre anni, ha spiegato Labovitz, sono stati studiate ed analizzate le tabelle di routing centrali, scoprendo che in alcuni casi due punti della rete non possono essere tra loro collegati. A questo contribuiscono servizi di filtering molto aggressivi di operatori di rete che cercano di ridurre il carico delle proprie linee, oppure, come accennato, errate configurazioni. Secondo Labovitz i siti della Difesa americana spesso finiscono nella zona oscura perché spesso occupano blocchi di indirizzi di “milnet”, qualcosa che risale agli albori di internet.
Un punto poco chiaro della ricerca, che anche per questo Labovitz definisce “preliminare”, è il perché gli utenti dotati di connettività a banda larga siano quelli che più spesso non riescono a raggiungere quei 100 milioni di host, a cui dunque risulta inaccessibile quella parte della rete.
La maggioranza degli utenti internet, comunque, non ha alcuna possibilità di accorgersi dell’esistenza di questa zona d’ombra, e questo perché “la maggior parte delle persone accedono a cinque o dieci siti” e, dunque, difficilmente si imbattono in uno di quei 100 milioni di host.
Una delle particolarità emerse dallo studio offre un aspetto inquietante. Riguarda l’apparire, per qualche tempo, di anomalie di routing prodotte dall’uso improvviso di indirizzi internet teoricamente non utilizzati. Ma questi, in realtà, vengono sfruttati brevemente e appaiono nelle tabelle di routing, per inviare quantità enormi di email commerciali o per lanciare attacchi cyber. Un’attività dunque riconducibile ad usi impropri se non illegali del network.
Si tratta, affermano i ricercatori, solo di un’altra conferma della sostanziale poca sicurezza dell’infrastruttura di routing della rete e stando a Labovitz queste attività “anomale”, il cui tracciamento è difficilissimo, potrebbero comprendere una vasta serie di comportamenti illegali o antisociali che avvengono su internet. Nei prossimi giorni, comunque, si dovrebbero conoscere maggiori dettagli sullo studio.