Roma – Più di un terzo degli utenti internet americani ha scaricato software commerciale dalla rete senza però pagare tutte le copie che ne ha fatto. Da un campione di 1.026 utenti quasi la metà ha scaricato software e l’81 per cento di chi l’ha fatto non ha pagato la copia. Il 57 per cento di chi scarica software di rado non paga quello che scarica.
Queste le cifre diffuse dall’associazione dei produttori di software proprietario BSA e relative ad uno studio che ha commissionato all’osservatorio di Ipsos-Reid. Numeri che la BSA definisce “inquietanti”.
Stando allo studio , il 12 per cento di coloro che scaricano software ammettono di aver effettuato operazioni di pirateria informatica. “Questa è la prima volta – ha spiegato Robert Holleyman, presidente e CEO di BSA – che abbiamo studiato l’attitudine dell’utente finale riguardo al furto online. E quello che abbiamo trovato è una tendenza comportamentale che ci disturba, che viola le leggi sul copyright e che ogni anno costa miliardi di dollari e centinaia di migliaia di posti di lavoro”.
Tra le contraddizioni che la BSA sostiene di aver portato alla luce anche quella secondo cui il 95 per cento dell’utenza ritiene che chi realizza software debba essere pagato per quello che fa e l’85 per cento è allineato sul modello proprietario considerando fondamentale proteggere i diritti di proprietà intellettuale prima di tutto per finanziare ricerca e sviluppo.
Secondo Holleyman è incoraggiante che gli utenti si rendano conto della centralità della proprietà intellettuale ma “ora dobbiamo continuare nello sforzo di aiutarli a capire che il download illegale fa danni a quelle aziende e a quegli sviluppatori che ritengono di proteggere”.
Ma quasi la metà degli utenti ha dichiarato che la scelta di scaricare dalla rete un software commerciale senza pagarlo dipende dalle circostanze. Una risposta che fa arrabbiare la BSA, secondo cui ci vuole non solo educazione ma anche sistemi che facciano valere davvero il copyright.
Uno di questi sistemi, spiega la BSA, è quello messo a punto per il web.
“Per ridurre la disponibilità di software pirata online – ha spiegato Bob Kruger, vicepresidente delle politiche repressive della BSA – la BSA ha sviluppato nuovi strumenti come la soluzione automatica di MediaForce, che gira sul web per individuare copie pirata dei prodotti delle aziende associate a BSA. Per il grande pubblico, l’educazione è la chiave a promuovere il rispetto online della proprietà intellettuale”.
Il sistema MediaSentry di MediaForce utilizzato dalla BSA, stando a quanto dichiarato dall’associazione, lavora scansionando non solo il web ma anche i sistemi di scambio-file peer-to-peer, le chat di IRC, i newsgroup e i siti che mettono a disposizione FTP pubblici.
Secondo la BSA, nei tre mesi da quando MediaSentry è stato attivato nel programma di lavoro della BSA sono stati notificati più di 8.500 avvisi di diffida ad altrettanti provider, vale a dire 5.200 avvisi in più di quelli diramati dalla BSA in tutto il 2001.
Secondo Kruger la pirateria via internet è in qualche modo insita nel mezzo perché gli utenti possono contare sulla sensazione di anonimato che offre la connessione, su banda sempre più larga, sulla popolarità raggiunta dai siti d’aste. “E’ chiaro da questo studio – spiega – che se da un lato gli utenti possono capire che chi sviluppa dipende dalle licenze per lavorare, dall’altro non vedono come il proprio comportamento danneggi il lavoro degli sviluppatori”.
Kruger ritiene che molto stia nell’educazione degli utenti e anche per questo la BSA negli USA, ma anche in Europa e in Italia, si sta dando da fare per cercare di diffondere la “cultura” della proprietà intellettuale sul software e l’orrore per la pirateria informatica.