Roma – Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di Palladium, il nuovo prossimo ambiente hardware-software ideato da Microsoft e da alcuni grandi produttori, per rendere sicuri i contenuti che transitano nei nostri PC. Lo si è fatto sull’onda di un lungo articolo di Richard Stallman e lo si continua a fare su un breve ma importante contributo che David Weinberger ha scritto per Techreview solo qualche giorno fa dal titolo The Palladium Paradox .
Sono contento che si discuta di queste cose: David Farber qualche mese fa, accettando alcune affermazioni tranquillizzanti di Microsoft sulla non intrusività del suo prossimo software e sul fatto che le funzioni di Palladium sarebbero state tutte sotto il controllo dell’utente, disse una frase molto significativa che suonava più o meno così: ” Attenti perchè se non sarà come dite, urlerò come un maiale sgozzato”.
Oggi le urla si vanno opportunamente moltiplicando e se Richard Stallman è da tutti – anche da se stesso – considerato un “integralista del software”, un puntiglioso che manda indietro a tutti coloro gli accludono un allegato in formato.doc un breve trattato nel quale spiega perchè tale formato “è male” , David Weinberger, certamente non assomiglia a nulla del genere. Eppure i timori espressi dall’autore di Arcipelago Web (Sperling e Kupfer, 2002) sono sostanzialmente i medesimi di quelli del fondatore del Progetto Gnu .
Il problema fondamentale che Palladium scatena, al di là di distinguo tecnologici che lasciamo da parte, è quello di una rivoluzione ideologica dell’architettura dei PC. Con Palladium i PC non saranno più le stesse macchine di prima, diventeranno qualcosa d’altro. Ora si può capire come mai se ne discute tanto. Ma il punto è: che cosa diventeranno? Stallman, già nel titolo del suo commento, si chiede se potremo continuare a fidarci di loro. La sua risposta è semplice, lineare e chiara: non potremo. Non potremo perchè il controllo verrà tolto all’utente e fatto scivolare nelle mani di qualcun altro, per banalissime ragioni di soldi. È importante oggi chiederci chi sarà questa autorità, se sarà credibile, se avrà la nostra approvazione, se sarà giusta e comprensiva con noi? Evidentemente no. Se esistesse una politica dei computer sarebbe ciò di cui stiamo discutendo oggi.
Così, per banalissime ragioni di soldi si sceglie di buttare via il bambino con l’acqua sporca , aprendo di fatto la strada a problemi ben più seri di quelli legati alla pirateria musicale o cinematografica. Alludo a quisquilie come quelle del controllo politico, di quello aziendale, del possibile indirizzo del consenso e della libera espressione delle opinioni individuali. Ma, di tutto ciò, all’industria dei contenuti non interessa un fico secco. Come dicono a Hollywood: who cares?
Sarà tutto nuovo insomma. Weinberger con l’ironia che lo contraddistingue scrive: “apparentemente non avremo bisogno di un nuovo tappetino per il mouse”. Ma per il resto tutto cambierà.
Se ci pensiamo bene questo processo di scivolamento del controllo sul software ha origini non recenti. L’idea stessa di licenza d’uso può essere considerata una specie di prozia di Palladium. E nella stessa maniera vanno visti le sempre più frequenti pretese di aggiornamento che software grandi o piccoli tentano a nostre spese. Quella che fino a pochi anni fa era considerata a tutti gli effetti una intrusione – i tentativi di autoupdate attraverso Internet di programmi residenti nel nostro PC – oggi non infrequentemente viene imposta d’autorità e chiaramente citata nei contratti di utilizzo come pratica buona e giusta. Ragioni di sicurezza? Macchè. Semplici divergenze fra utente e software house su chi sia il proprietario della baracca. E questo molto prima della nascita delle DRM, le cosiddette tecnologie di controllo dei diritti.
Il Grande Fratello incombe – scrive Stallman – e lo fa con argomenti ormai noti e in gran parte condivisibili anche da semplici utenti che non siano posseduti da deliri di persecuzione o di controllo. Anche da utenti medi come me, che non vedono nella programmazione lo scopo di una vita o che talvolta, per non dire spesso, utilizzano vergognosamente anche documenti in formati proprietari. Proprio per questa ragione, proprio perchè per una volta il discorso sembra toccarci proprio tutti – utenti di indole, idee e sistemi operativi differenti – è necessario oggi tentare una strada di compromesso fra chi vorrebbe marciare su Redmond per raderla al suolo e chi invece solleva le spalle in un salomonico “cheppalle”.
Esiste un folto gruppo di commentatori e analisti che minimizza l’impatto prossimo venturo di Palladium e ne limita sostanzialmente l’intrusività alle pratiche commerciali in rete, come la distribuzione di musica e film. Con il nuovo ambiente di Microsoft esse potranno finalmente uscire dalla assoluta anarchia di distribuzione alla quale la Internet attuale le ha costrette. Se anche solo così fosse si aprirebbe ugualmente un nuovo, non trascurabile, problema. Il giorno in cui – come scrive Weinberger – Hollywood iniziasse a distribuire film in formati adatti solo a Palladium e quindi non riproducibili da mac, linux ecc. si creerebbe un sostanziale monopolio distributivo fra Redmond e Hollywood che è poi uno dei grandi desideri, mille volte espressi dalla software house di Bill Gates. Ed ancora una volta – magari senza andare a toccare troppo argomenti sacri quali la libera espressione del pensiero – il giochetto sarà comunque facilmente riassumibile: più soldi (per pochi) e meno libertà (per tutti gli altri).