Roma – C’è rabbia e voglia di colpire in qualche modo i discografici che si battono da anni contro i sistemi di condivisione dei file su internet in chi, nel corso del weekend, ha attaccato e buttato giù il sito della RIAA , l’associazione dei produttori musicali americani. Non solo, sul sito della RIAA permane anche ora un clamoroso testo (vedi seconda pagina di questo articolo) che chiaramente non è stato scritto dalla RIAA.
Chi ha colpito il sito ha lasciato sulla home page una dichiarazione che non lascia adito a dubbi in merito alla matrice per così dire “politica” dell’attacco e che si riferisce alle iniziative della RIAA per attaccare i computer degli utenti del file sharing:
“oooh la RIAA vuole craccare gli utenti e i server di file sharing? Sarebbe prima meglio che imparasse a rendere sicuri i propri”. Una rivendicazione nella quale si parla anche della disattivazione per due ore degli account presenti sul server colpito.
L’iniziativa di defacement, cioè di sostituzione della home page e pubblicazione della dichiarazione, non è che l’ultima di una serie di aggressioni subite dal sito. Ed è senz’altro clamorosa quanto quella avvenuta lo scorso settembre, quando il sito RIAA era stato praticamente trasformato in un jukebox che diffondeva musica gratuitamente…
Su quest’ultima aggressione, come sulle precedenti, la RIAA non ha espresso alcun commento né alcuna nota appare sul sito dell’associazione, ad eccezione di quella clamorosa descritta nella seconda pagina di questo articolo.
Di seguito il testo e alcune chicche.
Ci sono alcune notevoli e sorprendenti dichiarazioni dentro un editoriale apparso in queste ore sul sito della RIAA, dal titolo: “Una nuova visione per l’industria discografica”. Una “rivoluzione”, annunciata da un editoriale fasullo, lasciato sul sito della RIAA da chi lo ha colpito e non individuato dalla RIAA stessa quando dopo l’attacco ha rimesso su il sito.
Ecco i tre punti della svolta, solo in apparenza annunciata dall’associazione e lasciata lì da chi ha compiuto l’aggressione al sito della RIAA. Tre punti destinati a imbarazzare non poco l’associazione americana:
1. No alla vendita di CD protetti con limitazioni d’uso. Questi sono prodotti che “riducono il desiderio dei consumatori di acquistarli”. La RIAA ritiene che la conseguenza dell’uso di questi sistemi alla fine costringerebbe gli utenti a comprare la stessa musica distribuita su media diversi senza peraltro mettere fine alla pirateria.
2. Basta con i processi alle aziende che producono sistemi di file-sharing. “Alla luce di studi di importanti aziende di analisi – afferma il documento fasullo – è dimostrato che la maggior parte degli utenti delle reti di condivisione dei file aumenta i propri acquisti di musica”. Dunque “ha poco senso continuare a spendere milioni tentando di far chiudere questi servizi”. La soluzione? Ottenere dai sistemi di file-sharing degli accordi per un sistema di percentuali, di royalty, che consegni ai produttori musicali almeno una frazione dei profitti che quei sistemi riescono ad assicurare.
3. Basta con le operazioni di lobbying presso il Congresso americano per nuove e più dure leggi contro la pirateria. “All’inizio – si legge – eravamo colpiti dalla potenza dei nostri soldi ma poi ci siamo resi conto delle implicazioni per la democrazia in America. Sul piano morale non possiamo continuare questa manipolazione del sistema politico”.
Altre “chicche” sul testo che i responsabili della RIAA, mentre scriviamo, ancora non hanno rimosso comprendono:
“I nostri clienti non si sentiranno più colpevoli nell’acquistare un CD, perché ora sapranno che i loro soldi non saranno utilizzati per colpire loro e i loro amici”.
“Gli artisti non saranno più costretti a firmare contratti che riducono i loro profitti per una moltitudine di ragioni arbitrarie od obsolete”.