Contrappunti/ La lezione del dott. Gates

Contrappunti/ La lezione del dott. Gates

di Massimo Mantellini - Alla visita del chairman Microsoft a Roma corrisponde un attivismo dentro e fuori dalla rete del movimento open source italiano. Ma le trappole sono tante, la via è lunga ed è tempo di deporre i bazooka
di Massimo Mantellini - Alla visita del chairman Microsoft a Roma corrisponde un attivismo dentro e fuori dalla rete del movimento open source italiano. Ma le trappole sono tante, la via è lunga ed è tempo di deporre i bazooka


Roma – Si è molto discusso in questi giorni della conferenza che Bill Gates ha tenuto in Senato su invito del Presidente Pera. Prima di lui si erano cimentati sui temi della globalizzazione in medesimi incontri Giovanni Agnelli, Henry Kissinger, Valery Giscard d’Estaing e Vaclav Havel. I temi della discussione sono i soliti che oppongono da tempo da una parte i fautori del software libero e dall’altra aziende come Microsoft. Si è detto molto in questi anni al riguardo e non ho alcuna intenzione di rinfocolare polemiche mai sopite. Personalmente non vedo nulla di male nel fatto che il dott. Bill Gates – come lo ha chiamato Marcello Pera – venga invitato nei palazzi della politica italiana. Mi sembrerebbe invece più interessante discutere dei motivi per cui Microsoft venga da tempo considerata un partner privilegiato di grandi aziende a capitale statale come le Poste, le Ferrovie e la stessa Pubblica Amministrazione. Capire se ciò sia conveniente per la comunità, se lo Stato debba o non debba affidarsi ad un fornitore di software che tante polemiche e consensi scatena in tutto il mondo, è un compito che spetterebbe di diritto ai nostri politici.

La sensazione che invece abbiamo da qualche tempo a questa parte è quella che le discussioni legate alla informatizzazione della nazione siano nella stragrande maggioranza dei casi utilizzate per fini meramente propagandistici e politici.
Non mi riferisco tanto alla recente lettera aperta del Senatore Fiorello Cortiana nella quale si invita Pera a provvedere ad una ipotetica par condicio conferenziale, invitanto Richard Stallman ad una eguale riunione in Senato (magari con conteggio dei minuti dedicati al conferenziere come si trattasse di una tribuna elettorale), quanto alle schermaglie degli ultimi mesi sull’utilizzo del software libero nella Pubblica Amministrazione.

L’opposizione di centro sinistra ha presentato – qualcuno lo ricorderà – una serie di proposte di modifica alla legge finanziaria, tutte a favore dell’open source e della informatizzazione del paese, che hanno fatto gridare al miracolo molti utenti del software libero e della rete Internet. La risposta a tali mozioni (tutte come previsto respinte dal parlamento) ed alla loro carica propagandistica, non si è fatta attendere.
Il Ministro dell’Innovazione Stanca ha celermente creato una Commissione per l’Open Source nella Pubblica Amministrazione che si propone di “analizzare le tendenze tecnologiche e di mercato valutando le posizioni dell’Unione Europea, dei Paesi industrializzati e degli operatori privati” . Ed anche qui tripudio da parte dei sostenitori del software libero che vedono aprirsi una speranza di ravvedimento da parte del governo per l’utilizzo di software aperti.

Il tutto sembra assomigliare molto ad un gioco delle parti. I diessini, con le richieste di modifica proposte dall’on Folena , è come se si fossero svegliati di soprassalto da un sonno durato anni (per lo meno tutti gli anni in cui sono stati al governo disinteressandosi completamente alle tematiche in oggetto e stringendo patti di ferro con il numero uno di Microsoft in Italia Umberto Paolucci) e cavalcano oggi, improvvisamente, la tigre del software libero.

Si può dar loro credito? Così risvegliati dal loro letargo, Folena e soci hanno proposto una serie amplissima di provvedimenti condivisibili: dalla liberalizzazione del wi-fi, alla lotta al digital divide, all’utilizzo di software libero nelle scuole, agli incentivi per aziende e studenti per PC e larga banda. Applausi. La mia impressione è che siano saltati sul treno di Linus Torvalds come avrebbero fatto con qualsiasi altra treno che, indifferentemente dalle merci o dai passeggeri che trasporta, viaggi in direzione opposta a quella dell’esecutivo. Il governo – dal canto suo – in questi primi mesi di legislatura, ha disilluso ampiamente le aspettative di tutti in materia di sviluppo tecnologico, nonostante gli sforzi di Lucio Stanca impegnato da oltre un anno in un lavoro sotterraneo e scarsamente riconosciuto e nonostante le continue e ampie rassicurazioni sulla centralità del tema “innovazione tecnologica” da parte di esponenti di primo piano del governo stesso. Questo sembra essere il quadro politico di riferimento al momento dell’arrivo di Gates in Italia.

Su Quinto Stato, un weblog collaborativo che si occupa di tecnologie e net economy, e su altri siti web, nell’imminenza dell’evento si è così tentata una campagna di mobilitazione in appoggio alla lettera di Cortiana. Dopo gli occhialini di Bill Gates vedremo al Senato la folta e scomposta chioma di Richard Stalmann come chiede a gran voce il Senatore Verde? L’ipotesi è improbabile, folkloristica e forse provocatoria, anche perchè le problematiche che riguardano la scelta fra software libero e proprietario sono fra le più distanti dalla cultura e dall’interesse dei nostri politici. In questo campo certamente oggi i Verdi rappresentano forse l’unica forza politica italiana che mantiene alta una attenzione verso le problematiche legate alla tecnologia che non sia immediatamente riconoscibile come strumentale.

E allora prendiamo l’iniziativa di Fiorello Cortiana come un modo per focalizzare l’attenzione istituzionale su problematiche importanti più di quanto non si sia riuscito a fare fino ad ora. E sottoscriviamola, seppur tardivamente. E’ altresì chiaro che il problema dell’utilizzo del software libero nelle scuole, nella pubblica amministrazione e ovunque (e analogamente i rischi legati all’utilizzo di programmi chiusi, costosi e preconfezionati come quelli di Microsoft nei medesimi ambiti) è di fatto un problema culturale di tutti noi, molto prima che una questione di scelta politica fatta discendere dall’alto.

In altre parole, il sostanziale monopolio di Redmond nel campo dei sistemi operativi e degli applicativi potrà essere più facilmente contestato se e quando l’utenza di chi ogni giorno frequenta i PC e la rete si orienterà maggiormente verso software alternativi a quelli di Microsoft (inclusi ovviamente quelli di Apple). Viceversa, l’unica corretta arma di contestazione della opportunità dei nostri politici a gettarsi nelle mani di Mr Gates (così pedissequamente praticata in passato come in questi giorni) è quella di valutare Microsoft come una azienda sostanzialmente “monopolista” (e con il vizietto accertato di giocare duro nei confronti dei concorrenti più deboli) quale di fatto è.
In più aggiungerei – tanto per farmi malvolere in tempi di globalizzazione – di non dimenticarsi di considerarla una azienda “americana”. In questo senso è conveniente per il nostro sistema postale, per le nostre ferrovie e le nostre amministrazioni affidarsi anima e corpo ad un soggetto che agisce in regime di sostanziale monopolio un po’ in tutto il mondo? Quali sono le eventuali alternative praticabili? Ecco, questa sarebbe una domanda “politica” a tutti gli effetti. Questo dovrebbero chiedersi i nostri rappresentanti in Parlamento, magari facendo mente locale su cosa significhi in termini di sicurezza affidarsi a software dei quali non è possibile conoscere fino in fondo il contenuto.

Solo l’altro ieri gli USA spiavano le aziende e le comunicazioni europee attraverso Echelon e ricevevano da questo inopinato controllo tecnologico un vantaggio competitivo devoluto non tanto alla sicurezza nazionale quanto all’economia americana. Quali garanzie abbiamo che non accada lo stesso oggi? Siamo disposti a spendere decine di milioni di euro in programmi dei quali non controlleremo mai completamente il funzionamento? Non è un caso che – per rispondere a queste giustificate e diffuse perplessità – Microsoft abbia recentemente rilanciato il suo Code Source Sharing, un programma di condivisione dei propri codici sorgente con agenzie governative e internazionali che tuttavia non sembra fugare completamente i rischi di teoriche possibili intromissioni.

Bill Gates ha portato in Senato la sua ventata di ottimismo (insieme ad alcune delle sue più recenti macchinette destinate ad un immediato oblio come i tablet-pc) e due o tre luoghi comuni sul futuro luminoso dell’informatica, buoni per tutte le stagioni. Non c’è alcuna esigenza di equilibrare un simile (inesistente) affronto, con la messa in campo dei pezzi da novanta del movimento Open Source ed impegnarli in altrettanto utili dimostrazioni in Senato. C’è invece bisogno fin da subito, di informazione chiara per tutti, al di fuori di sterili schieramenti di campo. Questo sforzo informativo dovrebbe riguardarci tutti, a partire dal Presidente del Consiglio che – beata ingenuità – ha dichiarato di voler chiedere a Gates consigli per accelerare l’innovazione tecnologica italiana. Che è un po’ come andare a chiedere all’oste di chi sia il vino più buono.

Il notebook sul quale sto scrivendo questo pezzo ha un sistema operativo Microsoft; per le mie esigenze di utente medio funziona egregiamente e vale i soldi che costa. Ma non mi farebbe piacere se i dati che riguardano la mia cartella sanitaria o fiscale o qualunque altro mio dato sensibile dovesse risiedere o transitare su un server dei ragazzi di Redmond. Non mi parrebbe il caso e se anche questa è globalizzazione, allora sono disposto a farne volentieri a meno. E nonostante ciò, non vedo ragione perchè software proprietario e software libero non debbano – il più civilmente possibile – convivere, senza doversi ogni giorno affrontare armati di bazooka nella ormai nota e noiosa diatriba fra i sostenitori di uno o dell’altro schieramento.

Massimo Mantellini
Manteblog

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
3 feb 2003
Link copiato negli appunti