Originale su Toblòg – Giovedì ero a Roma all’assemblea annuale di Società Internet , in occasione della quale rappresentanti delle varie categorie (io per gli utenti in ICANN) hanno avuto modo di esporre le proprie idee e le proprie esperienze.
Tra gli altri relatori, oltre al mio ex capo Gianluca Dettori e ad altre figure storiche della rete italiana, figurava Paolo Barberis, Presidente di Dada, la cui relazione era centrata su un problema tanto interessante quanto poco affrontato.
Dunque, quello che diceva Barberis era grosso modo questo: la gente si collega alla rete perchè ci trova dei contenuti – prevalentemente, a livello di massa, siti Web interessanti. Ogni anno, gli italiani spendono circa 500 milioni di euro in connettività (85% dial-up, 15% ADSL, fibra e CDN). Eppure, questi soldi finiscono interamente alle società di telecomunicazioni, Telecom Italia in testa, e, per una percentuale relativamente bassa, agli ISP. I content provider di tutti questi soldi non vedono una lira, e – a parte quelli che fanno anche e-commerce – devono cercare di sopravvivere soltanto con la pubblicità (50 milioni di euro l’anno, in forte calo).
In questo modo evidentemente non si può sopravvivere a lungo: e difatti, passata la bolla della new economy, moltissimi siti chiudono o smettono di fornire contenuti gratuiti o ne abbassano la qualità; e come risultato, anche il traffico Internet ha smesso di crescere.
Cosa fare, allora? La proposta di Barberis è la seguente: obblighiamo tutti i provider a migrare sulle nuove numerazioni 702; aumentiamo il prezzo al minuto del dialup (che è il più basso d’Europa) del 20-30%; e con quei soldi creiamo un fondo da distribuire a chi fa siti. Le società fornitrici di contenuti dovrebbero registrarsi in un apposito albo, aderire a un codice di autoregolamentazione (in modo che non si finanzino i siti porno) e poi ricevere una fetta dei soldi in base al traffico.
La mia prima reazione a questa proposta è stata decisamente negativa, soprattutto per la seconda parte: a parte la difficoltà di misurare il traffico di un sito in modo affidabile (certo, esistono gli equivalenti Internet dell’Auditel, ma ci credono solo i marchettari), io sono allergico ai bollini e alle registrazioni per i siti; per non parlare dell’opportunità di aumentare i costi per gli utenti per mantenere portaloni e portalini l’uno fotocopia dell’altro, visto che, onestamente e con tutto il rispetto per chi li fa, di moltissimi portali italiani personalmente non sentirei certo la mancanza.
Per non parlare del fatto che Internet esisteva ed era piena di siti interessanti e gratuiti ben prima che esistesse il Nuovo Mercato, e che moltissime persone (tra cui me) usano la rete quasi solo per lavorare, per accedere a siti esteri o istituzionali, per usare la posta e i newsgroup, e non si capisce perchè dovrebbero finanziare i portali nostrani.
Ma se la risposta è sbagliata, il problema oggettivamente c’è, come ben sa chi di noi ha avuto occasione di mettere in piedi un sito Web che offre contenuti (la mia esperienza fu, ben prima di Napster, con le sigle dei cartoni animati…), di vederlo avere successo, e di dover poi combattere con i costi e le complicazioni di tenerlo in piedi quando fa milioni di hit al mese.
E’ quindi vero che se si trovasse una forma di sostentamento dei siti più interessanti, forse riusciremmo ad avere contenuti migliori senza essere invasi dai popup porno e dai dialer; anche perchè se non lo si farà, dopo che quasi tutti i siti gratuiti saranno morti, saranno Telecom e le sue sorelle a decidere chi foraggiare e chi no, scegliendo che cosa far vedere ai propri clienti e trasformando Internet in una specie di Telepiù interattiva a contenuti predeterminati o quasi.
Ma quello che farei io, senza andare a inventare forme di prelievo e redistribuzione forzata dall’alto, sarebbe incentivare meccanismi semplici di contribuzione volontaria come PayPal, che, zitto zitto, anche in Italia sta avendo un buon successo. Volendo, basterebbe che gli ISP caricassero una percentuale dei proventi della connessione (ADSL o dialup che sia) in un account personale di ogni cliente, che poi egli potrebbe spendere per finanziare un sito o servizio qualsiasi, in Italia o all’estero, bollinato o no, purchè gratuito e purchè senza ricevere merce in cambio.
Certo, essendo in Italia, penso che la maggior parte dei navigatori spenderebbe questo credito autofinanziando il proprio sito personale o quello degli amici; del resto siamo nel paese dove l’utente medio di un peer-to-peer qualsiasi condivide al massimo tre file (se no quelli che scaricano gli intasano la banda) ma si incazza se non gli fai scaricare cinque dischi gratis da una T1. Forse una soluzione al problema non esiste, a parte quella di cominciare a pagare gli abbonamenti ai servizi che valgono davvero. Ma è sicuramente un problema serio.
Vittorio Bertola
Toblòg