Roma – Con un documento Word il ministero all’Innovazione (MIT) ha comunicato ieri gli attesi risultati del lavoro della Commissione sull’open source, quella incaricata lo scorso novembre di valutare il significato e l’impatto dell’impiego di tecnologie non proprietarie nei sistemi informativi della pubblica amministrazione (PA).
In sostanza, la Commissione guidata dal professor Angelo Raffaele Meo del Politecnico di Torino ha determinato che l’uso del software a sorgente aperto deve costituire una scelta possibile per le infrastrutture della PA ma che, di volta in volta, le scelte di soluzioni e servizi debbano essere effettuate solo sulla base di un’attenta analisi del rapporto tra costi e benefici.
Sì condizionato, dunque, al software open source, definito dal Governo come “software che, attraverso la disponibilità del codice sorgente, consente la sua libera circolazione per i processi di produzione, distribuzione ed evoluzione” .
La Commissione, come noto, era stata voluta dal ministro all’Innovazione Lucio Stanca secondo cui “per la prima volta in Italia si è affrontato a livello istituzionale il tema dell’open source analizzandolo in un contesto applicativo complesso quale quello dei sistemi informativi della PA”.
“L’open source – ha proseguito Stanca nel presentare i risultati del lavoro della Commissione – è un fenomeno significativo nel quadro dello sviluppo delle tecnologie dell’informatica e delle comunicazioni. Per questo il Governo ha voluto affrontare il tema del suo impatto sul sistema della PA rendendolo oggetto di un dibattito tecnico, economico ed istituzionale”.
Dall’indagine svolta dalla Commissione il Governo intende trarre le linee guida per la formulazione di “proposte ed impegni” relativi all’innovazione informatica nei sistemi informativi pubblici. Stanca già parla di una direttiva da emanare, una volta sentiti gli enti locali, per rendere “obbligatorio per le PA l’uso di almeno un formato aperto dei dati per consentirne l’accesso e la tutela del patrimonio informativo; contestualmente nella scelta dei sistemi e delle soluzioni informatiche, le stesse amministrazioni dovranno considerare prodotti open source, ma sempre sulla base di un rigoroso criterio di analisi costi benefici”.
Ma Stanca ha anche assicurato che i contratti della PA con le più importanti aziende della tecnologia dovranno prevedere l’accesso ai “codici sorgente dei pacchetti acquistati” pur “nel rispetto dei diritti di proprietà intellettuale”. Come noto, proprio a questo scopo Microsoft, forse il principale fornitore di software della PA, ha da tempo varato il Government Security Program abbracciato anche dall’Italia .
Ma ecco i dati più interessanti rilevati dalla Commissione.
Tra i dati più importanti che emergono dal lavoro della Commissione ci sono quelli relativi alla spesa in software. Nel 2001 la PA, quella centrale e quella locale, ha speso per l’acquisto di software 675 milioni di euro. Di questi, il 61% si è concentrato sullo sviluppo, manutenzione e gestione dei programmi custom, ossia sviluppati su commessa per una specifica amministrazione; il restante 39% è stato impiegato per acquistare licenze di pacchetti software.
A proposito di quest’ultimo tipo di spesa, 63 milioni di euro sono stati utilizzati per i sistemi operativi (software per Pc, mini e mainframe); circa 30 milioni per la gestione di basi di dati (DBMS); 17 milioni di euro per i prodotti di office automation.
In sostanza, quindi, il maggior costo degli investimenti informatici della pubblica amministrazione viene assorbito per i prodotti custom.
“La Commissione – si legge nella nota diffusa dal MIT – a fronte di un opinione ormai diffusa nel contesto scientifico ed industriale secondo cui è riconosciuto da varie parti come l’open source possa essere ritenuto ‘uno dei possibili strumenti per favorire e sostenere lo sviluppo di una industria italiana ed europea nel settore dell’ICT’, ne ha valutato le argomentazioni a supporto attraverso un confronto con il mondo accademico ed imprenditoriale convergendo sulla posizione comune che ‘se il software open source può giocare un ruolo importante, lo sviluppo di industrie delle tecnologie dell’informatica e delle comunicazioni in grado di competere a livello mondiale richiede investimenti massicci e continui che contribuiscano a creare una strategia industriale del settorè”.
Secondo la Commissione, l’open source può essere considerato come elemento importante per lo sviluppo di settori chiave come la telefonia mobile o l’industria degli elettrodomestici di nuova generazione.
Stando all’indagine inoltre, “nonostante l’attuale evoluzione tecnologica e qualitativa di tali soluzioni ne abbia favorito la diffusione in alcuni Paesi della Unione Europea, i progetti di dimensioni significative restano comunque rari. Vi è comunque un forte interesse dei governi europei di verificarne i potenziali benefici economici e sociali”.
La Commissione ritiene anche che quando si va ai prodotti sul mercato, la maturità delle soluzioni aperte abbia spinto grossi nomi dell’industria a varare versioni dei propri prodotti dedicate alle piattaforme aperte se non addirittura allo sviluppo di offerte che promuovono l’utilizzo di sistemi open source. E il riferimento ad IBM è immediato.
L’intero rapporto è scaricabile in formato pdf da questo indirizzo:
http://www.innovazione.gov.it/ita/comunicati/open software PA.pdf .
Di seguito il commento del presidente della Commissione rilasciato ieri.
“Personalmente – ha affermato Meo – sono convinto che l’importanza del software OS vada molto al di là della dimensione economica degli investimenti che raccoglie a livello mondiale, dei 100 milioni di ? che le pubbliche amministrazioni italiane potrebbero risparmiare annualmente sui costi delle licenze, del miliardo di ? annuo di cui il sistema Paese potrebbe alleggerire la bilancia commerciale. Infatti il software OSS è il simbolo e il fondamento di una nuova rivoluzione tecnologica caratterizzata da una rapidissima crescita del volume delle conoscenze e da una netta prevalenza dell’importanza della conoscenza pura, teorica, rispetto alle tecnologie dure.
In questo contesto già oggi gioca un ruolo importante la realtà delle piccole e medie aziende che operano nel settore. Secondo uno studio recente, il nostro Paese è uno degli ultimi dal punto di vista dell’utilizzazione del software OS, ma annovera molte imprese che producono software libero e vendono sul mercato nazionale e straniero servizi di installazione, personalizzazione, ampliamento, formazione”.
“Inoltre – continua Meo – nuovi comparti industriali, nei quali il software libero sarà incorporato in un processore di basso costo, si apriranno a breve scadenza e saranno tanto più fecondi quanto maggiore sarà la cultura scientifica nel settore”.
“La Commissione – spiega Meo – nella sua attività ha perseguito l’obiettivo della ricerca dell’equità nel confronto fra software libero e software proprietario, che ha condotto alla definizione di linee guida per gli operatori preposti alle scelte, rispettose del principio della selezione by value, ossia dell’identificazione della soluzione migliore dal punto di vista economico-funzionale”.
“Molto significativa – continua il presidente della Commissione – mi pare inoltre la raccomandazione dell’adozione di standard aperti per l’interoperabilità fra pubbliche amministrazioni e cittadini, basati sul noto linguaggio XML e su una definizione rigorosa delle strutture di dati adottate.”
“Infine – ha concluso Meo – la Commissione ha formulato la proposta di un pacchetto di progetti di ricerca finalizzati a nuove linee di prodotti industriali afferenti al comparto delle tecnologie dell’informazione e basati su soluzioni e programmi liberi. Molto importanti mi paiono anche quelli rivolti alle esigenze didattiche ed economiche del mondo della scuola”.
Sulla questione è intervenuto ieri anche il senatore verde Fiorello Cortiana , primo firmatario della proposta di legge per l’introduzione del software libero nella PA. Di seguito la nota diffusa da Cortiana.
“Oggi – ha affermato Cortiana – il Ministro Stanca ha presentato i risultati della commissione per lo studio dell’open source nella Pubblica Amministrazione. Con chiarezza la politica e l’amministrazione devono avere la consapevolezza che le indicazioni della commissione possono essere una vera e propria rivoluzione tecnologica del Paese”.
“Ma perché i risultati della Commissione Meo esprimano tutto il loro potenziale – continua il senatore – sono necessari alcuni strumenti: sul piano normativo è urgente definire una legge che garantisca il pluralismo informatico e, conseguentemente, sia coerente con le indicazione della Commissione, come il fatto che le Pubbliche Amministrazioni usino formati aperti di comunicazione e facilitino il riuso e la condivisione del software tra le diverse Pubbliche Amministrazioni, cioè un mercato di più di 100 milioni di Euro, come garantito dalla licenza GPL.”
“Una seconda condizione – prosegue Cortiana – è una politica attiva di azione amministrativa che incentivi il pluralismo, a partire dal fatto che i Piani per l’E-Governament devono assumere la migrazione all’open source come una priorità. Siamo d’accordo con la variabile dei costi e benefici, ma la questione è che da oggi non è più possibile, come è accaduto in questi anni che il software open source sia escluso dai bandi di gara delle amministrazioni”
Secondo Cortiana, “la terza e ultima questione riguarda l’implementazione dell’opensource nell’ambito della ricerca, attraverso una chiave di condivisione che consenta di massimizzare i risultati e la disseminazione delle buone pratiche, nonché il riutilizzo pienamente legale dei prodotti realizzati: le amministrazioni locali, attraverso l’opensource, possono avere una funzione enorme di sviluppo locale per tutti gli attori economici e sociali del territorio. L’opensource può essere in ambito tecnologico ciò che è stata la politica dei Patti Territoriali.”
“Noi – continua il senatore – che avevamo chiesto di sospendere i lavori della commissione del Senato sul DDL per l’uso dell’opensource nella Pubblica Amministrazione in attesa dei risultati della Commissione Meo, oggi abbiamo tutti gli strumenti per affrontare una discussione che parta dal principio del pluralismo informatico. Da oggi affiancheremo questo percorso istituzionale con la creazione di un Osservatorio Parlamentare che verifichi le migliori pratiche e le difficoltà nell’uso dell’opensource nella PA, a partire dalle scuole. Oggi 160.000 insegnanti stanno facendo un percorso di alfabetizzazione informatica e vogliamo capire come questo sia coerente con i risultati della Commissione.”.