Roma – “Internet è uno dei veicoli più validi per la difesa della libertà, poiché offre la verità a chi vuole vederla e intenderla. Non è quindi sorprendente che alcuni governi e organismi dimostrino di temere Internet e la sua capacità di diffondere la verità”.
Con queste parole di uno dei padri della rete, Vinton G. Cerf, la celebre organizzazione Reporters sans frontières ha annunciato la disponibilità del rapporto 2003: “Internet sotto stretta sorveglianza – Gli ostacoli alla circolazione della libera informazione sulla Rete”.
Se il numero di internauti cinesi raddoppia praticamente ogni sei mesi, e quello dei siti si duplica ogni anno, questa crescita folgorante della Rete si accompagna ad un altrettanto notevole sforzo di controllo, di censura e di repressione proporzionale alla dinamica espansiva che ha caratterizzato lo sviluppo del Net. Leggi liberticide, cyberdissidenti prigionieri , siti bloccati, sorveglianza dei forum di discussione, cybercaffè chiusi, in Cina in particolare. Insomma: per tentare di mettere la museruola alla Rete, i governi non esitano a mettere in campo un imponente apparato repressivo.
Arresti di cyberdissidenti, blocco dell’accesso ai siti giudicati “politicamente o culturalmente scorretti”, controllo della posta elettronica… per quanto assai poco sviluppata in paesi come il Vietnam , dove Internet è da sempre nel mirino del Partito comunista. Il governo di Hanoi sembra intenzionato infatti a voler riprodurre alla lettera in modello cinese di controllo della Rete.
“Con un permesso di accesso sottoposto a una serie di rigide autorizzazioni e un razionamento della strumentazione necessaria – scrive Reporters sans frontières – Internet a Cuba sembra costretto invece a rimanere un fenomeno limitato e sottoposto ad altissima sorveglianza. La strumentazione necessaria, compresa quella di ultima generazione, è in pratica disponibile solo nei negozi specializzati gestiti dallo Stato, accessibili peraltro solo previa autorizzazione da parte delle autorità competenti. Del resto, il governo ha iniziato a legiferare fin dall’apparizione di Internet sull’isola. Nel giugno 1996, il decreto-legge 209, intitolato “Accesso dalla Repubblica di Cuba alla rete informatica globale”, precisava che il suo utilizzo non poteva essere fatto “in violazione dei principi morali della società cubana o dei testi di legge in vigore nel paese”, e che i messaggi di posta elettronica non devono in alcun caso “compromettere la sicurezza nazionale”.
In Tunisia , la linea ufficiale sembrerebbe apparentemente essere favorevole allo sviluppo rapido e a una democratizzazione esemplare di Internet. Eppure, i servizi di sicurezza continuano ad operare in direzione di un’implacabile sorveglianza del cyberspazio. Censura dei siti, intercettazione delle e-mail, controllo serrato dei cybercaffè, arresti e condanne arbitrarie continuano a essere il pane quotidiano degli internauti. Arrestato nel 2002, il cyberdissidente Zouhair Yahyaoui è stato condannato a due anni di carcere.
“In totale – continuano Reporters sans frontières – al 13 giugno 2003, risultano essere oltre una cinquantina gli internauti prigionieri nelle varie carceri del mondo, di cui almeno tre quarti sono detenuti in Cina”. Se Internet sembra essere diventato ormai la bestia nera dei regimi autoritari ad ogni latitudine, senza eccezione neppure per le nostre belle, vecchie democrazie, l’adozione di una serie di leggi antiterrorismo ha, di fatto, rafforzato il controllo delle autorità sulla Rete e messo in pericolo il principio della protezione delle fonti giornalistiche. Come è il caso soprattutto degli Stati Uniti, del Regno Unito o della Francia.
Se prima dell’11 settembre una parte importante del dibattito sulle cose della rete in Occidente verteva proprio sul difficile equilibrio tra sicurezza, privacy e libertà digitali, dopo i drammatici eventi di New York e Washington tutto è cambiato e la bilancia si è spostata completamente sul fronte della sicurezza. Sull’altare della sicurezza sono stati sacrificati diritti che un tempo non venivano neppure messi in discussione.
“Questo rapporto – spiegano gli autori – affronta quindi la situazione di Internet in 60 paesi, nel periodo temporale che va dalla primavera 2001 alla primavera 2003. La prefazione è a cura di Vinton G. Cerf, che viene considerato il ‘padrè di Internet”.
Come noto Cerf è una delle menti dietro il protocollo di comunicazione in rete nonché dietro numerose altre iniziative per lo sviluppo di internet. Con molte dichiarazioni, come quella riportata in testa a questo articolo, Cerf ha sostenuto la bandiera delle libertà digitali, quale veicolo di un mondo migliore.
La versione integrale del rapporto 2003 è disponibile ora sul sito dell’organizzazione . Può essere scaricato in pdf e per 10 euro più le spese si può acquistare anche la brochure rilegata.
Di seguito alcuni emblematici casi di gravi episodi di censura estratti dal rapporto. 42 cyberdissidenti sono prigionieri in Cina, tra cui:
Liu Di, detenuta in una località segreta
Liu Di, 22 anni, è stata arrestata nel campus dell’università di Pechino, il 7 novembre 2002. Da allora, è prigioniera in una località segreta. Studentessa di psicologia, “il mouse inossidabile” – era questo il suo pseudonimo in Internet – aveva incoraggiato gli internauti a “ignorare la propaganda del regime cinese” e invitato a “vivere in tutta libertà”.
Huang Qi condannato a cinque anni di carcere
Creatore del sito Internet www.tianwang.com, Huang Qi è stato arrestato, il 3 giugno del 2000. Ha dovuto aspettare tre anni prima di sapere di essere stato condannato a cinque anni di carcere per “sovversione” e “incitamento alla rivolta contro i poteri dello Stato”. Al momento del suo processo-farsa che si è tenuto a porte chiuse nell’agosto 2001, il cyberdissidente, sfinito dai lunghi interrogatori e dalle pesanti condizioni di detenzione, portava sul volto e sul corpo i segni evidenti dei maltrattamenti che gli venivano regolarmente inflitti dai suoi guardiani.
3 cyberdissidenti sono prigionieri alle Maldive, tra cui:
Ahmad Didi condannato a 25 anni di carcere
Ahmad Didi, 50 anni, era un brillante uomo d’affari e si era candidato per un posto di deputato nel suo paese. Ma con altre tre illustri personalità delle Maldive, ha avuto l’idea di lanciare Sandhaanu, un bollettino di informazioni diffuso su Internet. Il presidente delle Maldive ha ordinato il loro arresto nel gennaio 2002. Nel luglio dello scorso anno, sono stati condannati a una pena di 25 anni di carcere per aver “insultato il Presidente ” e aver tentato di “rovesciare il governo (…) creando un bollettino chiamato Sandhaanu”. Dopo l’annuncio della sentenza, le autorità del paese hanno rifiutato il ricorso in appello ai prigionieri, che continuano a essere sprovvisti di avvocati per la loro difesa.
5 cyberdissidenti sono prigionieri in Viêt-nam, tra cui:
Le Chi Quang condannato a quattro anni di carcere
Le Chi Quang, 32 anni, laureato in chimica e in diritto, è stato arrestato il 21 febbraio 2002 in un cybercaffè di Hanoi da un poliziotto in borghese che si era spacciato per un internauta. E’ stato condannato, l’8 novembre 2002, a quattro anni di carcere per aver pubblicato su Internet degli articoli critici nei confronti del regime comunista. Nonostante questo cyberdissidente sia gravemente sofferente per problemi di insufficienza renale, il tribunale di Hanoi ha recentemente rifiutato la sua liberazione per “motivi di salute”.
1 cyberdissidente è prigioniero in Tunisia:
Zouhair Yahyaoui condannato a due anni di carcere
Nel luglio 2001, appena laureato e disoccupato con la passione di Internet, Zouhair Yahyaoui lancia, dalla Tunisia, un sito di informazioni. Il 4 giugno 2002, viene arrestato in un cybercaffè alla periferia di Tunisi.
Durante gli interrogatori, il cyberdissidente rivela la password del sito e viene ferocemente torturato. Il 10 luglio 2002, viene condannato a due anni di carcere per “diffusione di notizie false”. Dall’inizio dell’anno 2003, Zouhair Yahyaoui è entrato per ben tre volte in sciopero della fame.