ISP europei contro il controllo dati

ISP europei contro il controllo dati

Operatori di TLC e provider europei non ci stanno e marciano contro le proposte UE che mirano a far conservare i dati del traffico internet senza distinguo e sufficienti garanzie. In ballo opportunità e libertà
Operatori di TLC e provider europei non ci stanno e marciano contro le proposte UE che mirano a far conservare i dati del traffico internet senza distinguo e sufficienti garanzie. In ballo opportunità e libertà


Roma – No alle leggi che puntano sulla data retention come strumento di controllo e monitoraggio delle comunicazioni per finalità di sicurezza, no ai nuovi obblighi per i provider, no all’assalto alle libertà digitali. C’è questo, oltre ad un vero senso di preoccupazione per il proprio business, nel documento firmato da quattro grandi organizzazioni europee che rappresentano operatori di telecomunicazione, provider e produttori in Europa e altrove. Un documento rivolto all’Unione Europea per evitare che nei prossimi mesi siano varate nuove leggi sul cosiddetto “data retention”, la conservazione dei dati di traffico internet o telefonico.

Stando alla camera di commercio internazionale ICC , a firmare il documento contro le temute nuove normative comunitarie, oltre all’ICC stessa, sono UNICE (Union of Industrial and Employers’ Confederations of Europe), EICTA (European Information, Communications and Consumer Electronics Technology Industry Association) e INTUG (International Telecommunications Users Group).

L’idea di fondo di questi gruppi industriali è di spingere il Legislatore europeo ad abbandonare la data retention per favorire, invece, la “data preservation”. Quest’ultima significa la raccolta dei dati di telefonate, email o transazioni online solo ed esclusivamente quando riferite a utenti finali specifici. Una visione del tutto opposta, dunque, ai tanti governi e parlamenti europei che in questo periodo spingono per una conservazione dei dati a tutto campo.

Secondo il documento presentato in sede europea,
tra le preoccupazioni per le normative allo studio nei diversi paesi e nella UE vi sono i costi per l’industria, la fattibilità tecnica e i danni per la fiducia dell’utente finale, che sarebbe naturalmente assalito da domande sulla propria privacy e sull’effettiva sicurezza dei propri dati.

Il data storage, laddove applicato con “trasparenza e procedure di sorveglianza efficaci”, potrebbe dunque ribaltare la situazione ma è chiaro, come hanno sottolineato in questi giorni anche quelli di EDRi , che la battaglia è tutta in salita.

Interessanti, in questo senso, le risposte raccolte dalla divisione finlandese di Electronic Frontier Foundation in un questionario che nel 2002 ha interrogato le istituzioni europee sulla questione della data retention. Questionario dal quale emerge una realtà desolante per i diritti digitali in Europa con alcune poche eccezioni, tra le quali l’Italia.

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Pubblicato il
25 giu 2003
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