Roma – I documenti della pubblica amministrazione italiana potranno essere realizzati con qualsiasi software scelto dall’ente che li produce, ma almeno una copia di ciascuno di essi dovrà essere in formato open source.
Questo è probabilmente il cuore di una direttiva annunciata ieri dal ministro all’Innovazione Lucio Stanca che, a suo dire, avrà il compito di promuovere nella PA nostrana la pluralità dei sistemi informatici.
Partendo dal lavoro di analisi della Commissione ministeriale che ha indagato sul possibile impatto dell’introduzione di software libero nella pubblica amministrazione, Stanca ha dichiarato che “verrà riaffermata l’utilità della pluralità dei sistemi e, quindi, la responsabilità della singole amministrazioni nell’effettuare la libera scelta del software da adottare sulla base di un’analisi tecnica, organizzativa ed economica, ossia il rapporto tra costi e benefici”.
Massima autonomia, dunque, alle amministrazioni che avranno comunque l’impegno di conservare i propri documenti in formato libero, per poter garantire nel tempo l’accesso a quei materiali anche con software non proprietario.
Secondo Stanca, al centro del lavoro della Commissione e della imminente direttiva sono alcuni obiettivi di fondo: “Tutelare la pubbliche amministrazioni in termini di riservatezza dei dati, privacy, sicurezza, funzionalità, continuità del servizio; di ottimizzare gli investimenti nella PA; attraverso l’e-Government favorire la diffusione dell’innovazione tecnologica in Italia; garantire le condizioni di sviluppo e promozione del mercato”.
Tutto questo, secondo il ministro, spinge ineluttabilmente verso il software libero che nel nostro paese “rappresenta una importante opportunità” e “sta assumendo un valore rilevante per la sua pervasività nella pubblica amministrazione, nell’informatica e telecomunicazioni, nella scuola, nell’università e ricerca, oltre che nelle imprese”. In particolare Stanca ha fatto notare come secondo il FLOSS (“Free/Libre and Open Source Software Survey and Study” della Berlecon Research di Berlino) in Italia si trovano il 7,8 per cento del totale degli sviluppatori open source (al primo posto c’è la Francia con il 16,4, seguita dalla Germania con il 12,4 e dagli USA con il 10,3 per cento).
In realtà uno degli elementi fondanti della direttiva sarà il riuso del software sviluppato in seno alla pubblica amministrazione. Questi software, ha spiegato Stanca, devono girare tra le amministrazioni, per abbattere i costi e ottimizzare gli investimenti di sviluppi. Ed è per questo che saranno messi a punto appositi strumenti per la conoscenza e il riuso dei software tra gli enti della PA. D’altra parte, proprio la Commissione sull’open source aveva rilevato che il 61 per cento dei costi sostenuti dalla PA sul software è legato ai programmi “custom” , quelli cioè sviluppati da singole amministrazioni e oggi raramente distribuiti ad altri enti della PA.