Roma – A partire dal 2005 i produttori americani dovranno inserire le tecnologie di Digital Rights Management (DRM) nei nuovi computer e televisori. Lo ha deciso la Federal Communication Commission (FCC) americana, con una scelta che potrebbe portare a importanti conseguenze per l’utenza informatica.
La decisione della FCC è in diretto ed esplicito riferimento a quella che i media americani hanno chiamato napsterizzazione della TV . Con l’espandersi dei servizi di televisione digitale e dei nuovi dispositivi di registrazione ed ascolto, infatti, i produttori di programmi televisivi, così come le case di produzione cinematografica, temono che gli utenti TV possano troppo facilmente mettere in rete, scambiare tra di loro e usare internet per farlo, materiali di qualsiasi genere.
L’idea, dunque, è quella di consentire agli utenti della TV digitale di registrare la programmazione televisiva ma sarà loro impedito di uploadare i programmi su reti o in ambienti digitali che non siano garantiti , che non godano cioè della fiducia dei produttori.
Sul piano tecnico, il progetto approvato dalla FCC è quello di infilare un codice specifico in ogni trasmissione digitale. Il codice verrà riconosciuto ed interpretato dai nuovi televisori e dispositivi consumer di registrazione, in modo tale da limitare le possibilità d’uso dell’utente a quanto desiderato dai produttori del materiale trasmesso.
L’estensione dell’obbligo dalle televisioni ai computer è un’ovvia conseguenza della convergenza ormai pressoché completata tra i due mezzi, che con la TV digitale azzerano molte distanze. Ma è proprio l’obbligo per i produttori ad inserire tecnologie di riconoscimento del codice di protezione nei computer a preoccupare quanti in queste ore stanno analizzando la scelta della FCC. Il timore, infatti, è che dal controllo dei programmi televisivi si possa facilmente passare ad un controllo più generale su quanto gira su un computer, dagli applicativi ai materiali scaricati e condivisi in rete. E questo anche se per ora l’obbligo della FCC si estende ai soli computer dotati di dispositivo di ricezione digitale, un dispositivo che si prevede sarà sempre più diffuso sulle nuove macchine nei prossimi anni.
A muovere le prime critiche sono stati quelli di Public Knowledge , organizzazione che da anni si batte per la circolazione libera delle idee. Secondo PK è decisamente pericoloso e costituisce un precedente preoccupante il fatto che sia l’industria di Hollywood a dettare quello che i produttori di computer o di software devono o non devono integrare ai propri dispositivi. A farsi sentire anche la Electronic Frontier Foundation , secondo cui i consumatori “pagheranno per una tecnologia che non fermerà i pirati ma che costerà a tutti noi”.
E mentre PK organizza una prima protesta, con raccolta firme e via dicendo, dal mondo del cinema non arrivano che applausi per la scelta della FCC. Secondo Jack Valenti, l’inossidabile chairman della MPAA , ente che raccoglie gli studios più influenti, si tratta addirittura di “una grande vittoria per i consumatori”.
Da parte sua la FCC, forse per tentare di arginare le polemiche che iniziano a montare, ha voluto sottolineare che la decisione non impedisce all’utente di creare copie digitali ma soltanto di farle girare su internet senza alcun controllo.
E in Italia? La televisione digitale è ormai vicina, la copertura del territorio secondo la RAI procede rapidamente e, seppure con qualche ritardo su quanto sta avvenendo negli USA, non si può certo escludere che la decisione della FCC interessi anche le autorità italiane. In Australia a poche ore dall’annuncio l’organo di garanzia sulla TLC si è detto estremamente interessato a valutare nei dettagli la posizione della Commission statunitense.