Washington (USA) – Usate qualsiasi sistema operativo purché non sia Linux. Questo il succo dell’invito che SCO Group rivolgerà presto agli utenti del Pinguino attraverso l’estensione del suo recente programma di licensing , lo stesso con cui l’ex Caldera sta tentando, pur con scarsi risultati, di convincere le aziende che usano Linux ad acquistare una licenza di Unix System V o a migrare verso la propria piattaforma.
In un rapporto trasmesso alla Securities and Exchange Commission (SEC) americana datato 16 ottobre 2003, ma reso pubblico solo pochi giorni fa, SCO ha rivelato un piano che, tenendo anche conto delle dichiarazioni rilasciate da un suo portavoce, sembra lasciar trasparire la volontà di allontanare quante più aziende possibile da Linux anche nel caso in cui questo non le portasse benefici diretti in termini di licenze di Unix vendute.
“Nei prossimi mesi – si legge nel documento presentato alla SEC – SCO intende ampliare il proprio programma di licensing includendovi opzioni di migrazione rivolte a quegli utenti finali che stanno cercando alternative a Linux”.
Una dichiarazione in cui l’uso del plurale per “alternative” lascia trasparire la volontà di SCO di offrire percorsi di migrazione che da Linux portino eventualmente verso sistemi operativi di altri vendor : è facile immaginare come fra questi ultimi compariranno solo i più “devoti” licenziatari di SCO, ad esempio Sun. Non va tuttavia dimenticato come anche Microsoft abbia di recente versato nelle casse di SCO diversi milioni di dollari per l’acquisto della licenza di Unix: questa è una delle ragioni che, insieme alle preannunciate mosse di SCO, stanno alimentando quelle voci che vorrebbero il big di Redmond al lavoro insieme a SCO per indebolire la credibilità di Linux.
Un portavoce di SCO ha confermato a ComputerWire che la propria azienda “sta offrendo un percorso di migrazione verso altri sistemi operativi che poggiano su proprietà intellettuali più solide di quelle di Linux”, aggiungendo poi che “nei prossimi mesi offriremo degli incentivi”. Incentivi che, secondo SCO, sono stati fortemente voluti “da quelle stesse aziende pronte ad abbandonare Linux”.
Nell’ultimo anno, SCO ha decisamente spostato il proprio business dalla vendita di software alla gestione del proprio portafoglio di brevetti . Il motivo di una tale scelta, che secondo alcuni analisti spiega la scarsa determinazione con cui l’azienda sta promuovendo sul mercato le proprie soluzioni software, emerge da un passo del rapporto presentato alla SEC: qui SCO ammette che il proprio passato è stato caratterizzato dalla “non redditività” e che “i soli profitti sono stati realizzati durante i due ultimi trimestri grazie all’iniziativa di licensing di SCOsource “.
Svegliatasi dal suo lungo letargo, dunque, SCO spera ora di trasformare i brevetti Unix in una gallina dalle uova d’oro .
SCOsource, come noto, è
l’unità creata all’inizio
dell’anno da SCO con il preciso scopo di far fruttare la propria collezione di proprietà intellettuali. Alla sua guida vi è David Boies , uno dei più celebri avvocati statunitensi che, insieme ad altri due suoi colleghi, potrebbe guadagnare dai servigi resi a SCO cifre da capogiro. Boies, tra i tanti procedimenti di cui è stato protagonista, è stato anche l’avvocato che ha interrogato Bill Gates per il processo antitrust a carico di Microsoft.
Stando al rapporto di SCO, l’azienda sta accordando ai tre legali la possibilità di ricevere una gratifica pari al 20% dei guadagni provenienti da alcuni eventi legati all’attività di SCOsource, fra cui la vittoria in tribunale contro IBM (a cui SCO
chiede 3 miliardi di dollari ), la riscossione di somme provenienti dalla vendita di determinate licenze, l’ottenimento di certe sentenze o ingiunzioni o la vendita di SCO (il cui valore sul mercato è oggi stimato in circa 250 milioni di dollari) a dibattimento legale ancora in corso.