Roma – C’è chi sorride dinanzi al decreto legge varato dal Governo in queste ore, una normativa che riguarda internet e i cittadini italiani e che è riuscita nell’arco di 24 ore a scatenare un’ondata di polemiche come raramente si è visto. Il sorriso, in effetti, è espressione della natura umana quando viene posta, all’improvviso e inaspettatamente, dinanzi ad una enormità come quella presentata a Palazzo Chigi da due ministri: Castelli (Giustizia) e Stanca (Innovazione).
Il testo varato dal Governo concretizza con pochi semplici concetti un quadro orwelliano paventato dai più pessimisti all’alba della rivoluzione digitale. I provider internet e gli operatori di telefonia devono conservare fino a cinque anni tutti i dati del traffico , quello internet, appunto, e quello telefonico. Per dati di traffico si intendono i contatti, chi manda o spedisce un messaggio, a chi viene fatta una telefonata e da chi, e quando. Dati che l’autorità giudiziaria potrà richiedere alla bisogna a provider ed operatori. La giustificazione di tutto questo è quella di sempre: sicurezza e anti-terrorismo . Non si intendono, come si era creduto in un primo tempo, i contenuti delle email o delle telefonate . Nella conferenza stampa di presentazione Stanca ha sottolineato che “è importante registrare che mi sono collegato, che mi sono collegato a quella persona, per questo periodo di tempo, in quella data, a quell’ora, eccetera”. Ed è stata esplicitamente esclusa la registrazione dei contenuti delle comunicazioni.
Il progettino che vuol essere progettone appare ai più fallato.
Il primo problema, evidenziato ieri da una nota diffusa da AIIP e Assoprovider , le due assocazioni di settore, sono le strutture necessarie a registrare i dati di traffico. Gli oneri per archiviare la mole di dati richiesta, per garantirle la giusta sicurezza e integrità, sarebbero presto eccessivi per operatori che oggi conservano quei dati per soli pochi giorni esclusivamente per ripondere a problemi di instradamento.
Ma soprattutto c’è il problema della privacy . Il Garante della privacy in seduta collegiale subito dopo il varo del provvedimento ha emesso – fatto rarissimo – una nota in cui sottolinea come possa confliggere con il dettato costituzionale che protegge la segretezza e la libertà delle comunicazioni. Il Garante si attende che il Parlamento metta pesantemente mano al provvedimento non appena giungerà alla sua attenzione per l’esame e l’eventuale successiva traduzione del tutto in legge dello Stato. L’iniziativa governativa, peraltro, arriva a pochi giorni dall’introduzione del nuovo Codice della privacy che ne esce, evidentemente, stravolto.
“Ogni ulteriore estensione della fattispecie di dati raccolti – scrivono ancora i provider a questo proposito – deve essere soppesata con estrema cautela, sia sotto il profilo della quantità di dati da memorizzare, sia e soprattutto perché comporterebbe la creazione di archivi dai quali si potrebbe risalire (…) alla cerchia di relazioni di ciascun utente creando, nei fatti un dossier a carico di ciascun cittadino da cui rimarrebbero esclusi, in una sorta di paradossale digital divide alla rovescia, solo coloro che ancora non usano la rete”.
Ad attaccare a spada tratta il provvedimento sono anche riferimenti storici per la rete italiana, come Alcei , l’associazione per le libertà digitali, che in una nota ricorda come “l?accumulazione preventiva del traffico internet ha una scarsissima efficacia investigativa e non aggiunge sostanziale valore all?operato della polizia giudiziaria. Le attuali tecniche di indagine di cui dispone la magistratura, insieme alla cooperazione offerta dagli internet provider e dagli operatori telefonici già consentono, infatti, di svolgere investigazioni di polizia senza bisogno di emanare norme pericolose che, a parte la discutibilità tecnica, dànno licenza di spiare tutto e tutti”.
“Solo in caso di indagine – ha spiegato ieri Stanca – abbiamo consentito alla magistratura l’accesso ai dati della comunicazione telefonica e internet. È un esempio, perché tutti i paesi si stanno muovendo in questa direzione”. Lui lo chiama “un altro passo avanti”.